Attenzione: in questa storia abbonderanno frasi e parole scritte in dialetto palermitano. Alla fine del testo aggiungerò una legenda, in modo da poter tradurre.
“GIUUUUUSY! Ma chissì, ‘ntamata?” (1)
Le forti parole della zza (2) Viciuzza echeggiarono per tutta l’Albergheria, quartiere popolare di Palermo. Pensate che la zza Viciuzza e il suo urlo erano noti perché riuscivano a coprire persino le urla del megafono che a intervalli regolari passava per gli isolati annunciando di vendere piatta e bicchìara. (3)
Stava di fatto che erano ormai le dieci del mattino passate, e la povera casalinga disperata si mise ad alzare le tapparelle (4) della stanza della figlia, la pigrissima Giusy. A Palermo esistevano solo tre nomi, di solito: Cetty, Rosy e Giusy, così la zza Viciuzza decise di chiamarla Giusy, come sua madre.
Era una giornata importante in quella casa. Sia la madre che la figlia lo sapevano, perché quest’ultima doveva fare il check-in per andare in Germania, altrimenti non sarebbe partita.
Siccome Viciuzza era una donna essenzialmente ansiosa e per il resto delle percentuali fatta di acqua e carbonio, era lì a mettere pressioni sulla povera giovane, la quale non sembrava in procinto di partire da qualche parte, eccettuate le braccia di Morfeo.
“Mà…” la voce della ragazza parlò per la prima volta. Sembra uscita da qualche caverna o qualcosa del genere. Bofonchiò parole incomprensibili, dato che aveva la testa sotto il cuscino in modo da evitare la luce violenta del sole di Palermo, che a qualsiasi mese di qualsiasi stagione splendeva infischiandosene della ciclicità del clima.
“Mà!” ripeté Giusy, una volta che perse anche il cuscino, strappato via dalle mani lunghe della genitrice. “Ho una spossatezza che mi pare che mi passò un tir di sopra!”
La zza Viciuzza non si impressionò particolarmente, anzi, le parve strano che Giusy conoscesse parole come spossatezza.
“E a mìa chimminiffutti? (5) T’ha susiri, picchì l’aereo unn’aspìatta attìa!” (6)
Giusy rotolò varie volte sul suo comodo letto. “Mà… ho pure l’influenza, il catarro, mal di gola, 39 di febbre…”
Viciuzza sospirò. Aveva capito: sua figlia soffriva di lagnusìa. (7)
C’era solo una soluzione per quel tipo di malanno: prendere di peso il paziente, con tutto il materasso e il piumone che ancora Giusy aveva addosso, scaricare il tutto dentro la mitica Pandina, andare a centocinquanta all’ora verso Punta Raisi (8) e pagare il tutto. Molteplici multe comprese.
Viciuzza non era una che prendeva abitualmente aerei, per cui Giusy alla fine non andò in Germania, dove comunque c’erano parenti palermitani che l’aspettavano pronti col pani ca mievusa in mano (9), ma finì in Australia, sola, in pigiama, col materasso e il bagaglio a mano.
Povera lei! Niente pane con la milza! Per di più, vide alcuni canguri felici e saltellanti! Come facevano? Non ne avevano sonno?
Legenda:
(1) “Giuseppa! Cosa sei, immobile?”
(2) “zza” è un abbreviativo di “zia”. Quantità delle zeta a piacimento.
(3) il mitico apecar che annuncia di vendere piatti e bicchieri di plastica è, assieme all’arrotino, al sale e al tipo degli sfincioni, membro di questa band particolare che gira per i quartieri di Palermo allietando le ore delle casalinghe.
(4) serrande.
(5) “Ed a me, cosa me ne potrebbe importare?”
(6) “Devi proprio sorgere dal letto, poiché il velivolo non attende te”
(7) La lagnusìa è un morbo genetico trasmissibile per via ereditaria che accomuna il singolo abitante di Palermo. Non si sfugge dalla lagnusìa e non esiste vaccino. Sintomi: pigrizia cronica, approssimazione nei propri doveri, sbuffi e lamentele per ogni cosa che non va… ma non fare nulla per risolverla!
(8) L’Aeroporto Internazionale Falcone-Borsellino sorge a Punta Raisi, con vista mare.
(9) Il pane con la milza è una specialità dell’ampio street food palermitano: si imbeve il panino di strutto e poi si aggiunge la milza, dal sapore che ricorda alla lontana il fegato. Poi uno può aggiungere limone e/o formaggio grattugiato. I più estremisti aggiungono anche la ricotta.