Il sale e il sangue/24

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“Sono sicuro che voi sapete come entrare” disse James Johnson, un po’ in apprensione.

Erano stati momenti concitati e lui non aveva ancora capito come mai erano arrivati a stipulare un’alleanza con quel battaglione di rivoltosi, ma forse tornava tutto a loro vantaggio. Ormai erano davanti alla Porta Est, con una linea di cannoni pronta a sparare e alcuni corni che suonavano l’inno nazionale.

Per il resto, sembrava una giornata come un’altra. Alcune nuvole oscuravano il sole, e i prati che circondavano le mura della capitale erano particolarmente verdi.

La donna che aveva parlato con loro non ascoltò la domanda di James, pensando fra sé.

Si stava preparando per la guerra, e lo pensava continuamente, mentre controllava e gestiva tutta la truppa, rispondendo alle richieste e impartendo ordini. Ricordava benissimo cosa le aveva detto sua figlia, quando era tornata sfigurata dalla battaglia.

“Cosa hai fatto durante la guerra, mamma?” le chiese, e fu quella la prima volta che si accorse che qualcosa in lei era cambiato.

“Non… non forzarmi a rivivere quell’incubo di nuovo. Non farmi piangere, figlia mia”

Così le aveva risposto, per poi abbracciarla, e in qualche modo quell’atto lenì in parte il suo dolore terrorizzato.

Adesso, sei mesi dopo la Battaglia dell’Aurora, era riuscita a entrare nel gruppo dei rivoltosi e a vedersi assegnare un battaglione, che dunque era pronto per attaccare.

“Certo, i pirati avranno anche loro un modo di entrare che non sia fra le porte. Di notte c’è il coprifuoco, eppure si vedono fuori dai cancelli e di giorno si vedono dentro, stando a quanto dite” disse a un certo punto, guardando i tre marinai che aveva catturato. “Voi, che avete la missione di scovarli, avete perlomeno scoperto come fanno a passare inosservati?”

Nessuno dei tre sembrava poter rispondere. “Non ce n’è stato il tempo” rispose alla fine Morrison.

“Quando si vuole una cosa, si trova sempre il tempo” osservò la donna, grattandosi il naso distrattamente. “In ogni caso, ormai è giunto il tempo. Attaccheremo la capitale e faremo sparire tutti coloro che vi serpeggiano, che succhiano la linfa vitale di tutti noi ingrassando colpevolmente. Pirati compresi” aggiunse, come se lo avesse dimenticato.

“State a vedere” la donna alzò il proprio braccio destro e, di rimando, il corno che fino a quel momento aveva suonato emise un’ultima nota lunga seguita dalle urla che incitavano alla carica.

Il suono di decine di spade sguainate all’unisono riempì le orecchie dei tre marinai, che seguirono di corsa la donna a capo di quel piccolo battaglione. Dietro di loro, i cannoni cominciarono a  puntare contro le mura, che cominciarono a sgretolarsi.

In cima alla porta Est, alcuni arcieri e alcuni cecchini presero posto per rispondere al fuoco nemico, ma la donna, che ancora non si era ufficialmente presentata, era già arrivata sotto lo stipite.

“Dobbiamo aspettarci di tutto” disse lei.

Nel frattempo, la notizia dell’attacco alla porta Est fece il giro della città e arrivò anche alle orecchie degli altri capi, i quali si mossero per attaccare anche loro il lato assegnato. Pertanto, anche Lucy Savage e Alexa seppero che Tukha era diventata una città pericolosa e sotto assedio.

Con l’avanzare del giorno e l’arrivo delle truppe dei rivoltosi, le due ragazze e Joseph, Chang e Olaf decisero di fare il punto della situazione riuniti in cerchio, sedendosi a terra sul legno marcio della capanna.

“Conviene mimetizzarci fra le truppe” propose Olaf, il quale aveva la stazza e la muscolatura di un vero soldato. Si trovavano alla loro casa, appena fuori le mura, come aveva suggerito Alexa alla fine della notte precedente, la più strana di tutte.

“No che non conviene” disse Chang, il quale ricordava ciò che era successo quando aveva seguito Lucy in mezzo alle fronde e aveva avuto paura. La popolazione che abitava il bosco era molto pericolosa ed era un miracolo, secondo lui, che ne fossero usciti illesi. “Secondo me conviene invece risvegliare gli animi dei cittadini e farli combattere fra loro, mentre noi rapiamo il Re, o la principessa, e ne chiediamo un riscatto”

“Non è così facile giungere al Re” disse Joseph, il quale evitava di compiere missioni più pericolose di una ronda a cavallo. “La situazione, da quando ci siamo fatti sfuggire quei tre marinai, si è fatta più grave. Sentite gli spari?”

Non era difficile udirli, i rombi dei cannoni procedevano a intervalli irregolari, impegnati a distruggere il muro di cinta della capitale.

“Non avremmo dovuto cadere nella loro trappola. Ci siamo comportati come degli id…”

Si interruppe, perché Lucy lo colpì con un pugno.

“Siete stati proprio tu ed Olaf a farvi fregare, imbecilli” sibilò lei. “Mentre io ero ferma a parlamentare col popolo della foresta, voi vi facevate malmenare come non so cosa!”

Ricordava molto bene ciò che era successo e ciò che era stato detto dalla tribù che viveva fra quelle fronde. Avevano cercato di ucciderla, ma aveva assicurato loro che i marinai erano figli del mare, pertanto era riuscita a rimanere illesa. Inoltre, era stato uno scontro dialettico molto acceso. Non erano violenti, ma le parole che aveva ascoltato l’avevano scossa.

“Adesso siamo nella situazione peggiore. Non so come abbiano fatto, ma hanno incontrato una delle truppe che sta tentando di far cadere i Ravenwood. Sarebbe ottimo per noi in base a ciò che si prefigge di fare il Capitano, ma sappiamo che lui vuole decapitare anche Taddeus personalmente. Che fare, dunque?”

Le parole di Lucy si persero nell’aria. Stavano per perdere il loro avamposto nella capitale, quello che Steven Blackfield considerava il più importante, ma essere solo in pochi e non avere nessun appoggio a Palazzo li stava mettendo alle strette.

“Abbiamo commesso un errore, vero?”

Finalmente, Alexa ebbe il coraggio di dire la verità ai propri compagni. Tutti i presenti avevano qualcosa da farsi perdonare, da quella notte. Lei stessa aveva incoraggiato gli altri a non cercare chi avevano rapito; Lucy aveva creduto alla frottola riguardante il Nonmondo; Olaf e Joseph erano stati colpiti fisicamente e Chang aveva seguito Lucy perché desiderava vedere chi viveva nei boschi. Non erano ore facili, ma occorreva rivedere gli errori commessi e rimediare. Nessuno, però, sapeva come.

A quell’ora, le truppe stavano avanzando in città, trovando poca o nulla resistenza, dato che l’esercito terrestre era diviso per tutte le regioni del regno e dunque alla capitale erano rimaste poche forze.

“Non resta che andare a Inoquit, lì siamo molti di più. Una volta preso l’esercito, torneremo a Tukha e ribalteremo la situazione” propose Chang.

“Inoquit… il secondo avamposto più fedele al Capitano, dopo Rumala. Il tempo di arrivare e tornare e potrebbe non esserci più Tukha, lo sai, vero?” osservò Alexa, che aveva motivi personali per non andare fin laggiù.

“Non abbiamo scelta” disse l’uomo proveniente da oltre l’oceano. “In ogni caso, Re Taddeus troverà un modo per cavarsela. Non morirà”

Deciso quello, i pirati si alzarono e abbandonarono la capanna che tanto era stata d’aiuto durante le loro notti. Lucy, mentre sistemava le proprie cose in un fagotto, pensò alla Battaglia dell’Aurora: ecco, ne stavano assaporando gli effetti e non le piacque nemmeno un po’.

Solo sei mesi prima urlava, beveva e rideva, davanti al Re Ammiraglio. Adesso, il sorriso di Sebastian le tornò in mente prepotente.

“Re Ammiraglio! Quali sono le tue ultime parole?” disse Steven Blackfield, leccandosi compiaciuto le labbra, mentre con la spada stava lisciando la nuca del sovrano, come per scovare il punto più morbido dove affondare.

“State ridendo… ridete pure, se vi fa piacere. State anche per uccidermi, ma badate bene a ciò che sto per dire. Potete anche congedarmi da questa vita, ma verranno Re ancora più terribili di me” rispose Sebastian, ghignando soddisfatto e gettando un ultimo sguardo alla platea di reietti che tanto valorosamente aveva combattuto.

Lucy ebbe un attimo di sbandamento, pensando di essere ancora sulla Black Sheep, quando i problemi sembravano lontani, e piccoli rispetto all’immensità dell’oceano. Eppure la Battaglia dell’Aurora aveva ridotto la ciurma a pochi membri e una sola nave, ed ecco, Tukha era perduta.

Salirono tutti assieme sul carretto diretti verso il porto, dove li attendeva una scialuppa che li avrebbe condotti verso Inoquit, il freddo fiordo dove Alexa aveva lasciato il proprio amante.

Si chiese ancora, senza confidare niente a nessuno, se ciò che stavano facendo, le decisioni che avevano preso, fossero giuste. Lasciare Tukha incustodita e in balia della guerra non era forse l’occasione migliore per rendere la città stessa capitale della pirateria?

“Guardate laggiù” disse a un certo punto Olaf. “Dei, come vorrei essere in mezzo a loro!”

Lucy non aveva alcun dubbio, guardando le esplosioni che da lontano coloravano di grigio l’altrimenti verde paesaggio. Olaf avrebbe fatto la sua parte, in mezzo ai rivoltosi. Tukha stava cambiando, la storia marciava, e tutte le decisioni prese nelle ultime dodici ore erano state sbagliate.

“Siamo dei codardi” disse ad alta voce. Nessuno le replicò nulla.

Nel frattempo, i fratelli Johnson e Morrison persero di vista la donna a capo della fazione, poiché un gendarme li ebbe riconosciuti e ordinò loro di entrare con lui a palazzo, dove il Re li attendeva.

“Un Re non dovrebbe parlamentare coi capi della fazione nemica, in modo da fermare questo scempio?” chiese Morrison al gendarme, che attendeva con loro l’arrivo di Taddeus.

“Che cosa possiamo fare?” chiese James Johnson agli altri due. “Siamo in condizioni pietose, non possiamo essere ricevuti dal sovrano sporchi di terra e maleodoranti! Inoltre eravamo sbarcati per cercare il covo dei pirati e invece abbiamo causato la scintilla che ha portato la guerra civile proprio in città!”

“È così, Johnson” esordì Taddeus, arrivando placidamente alla sala del Trono e sedendovisi, i passi che echeggiavano nell’ampio salone. Era vestito di una tunica bianca, sormontata da alcuni paramenti rossi e verdi. Probabilmente stava pregando.

Gli altri si inchinarono piegando un ginocchio al suo cospetto, così Taddeus dovette fare cenno di rialzarsi. “Sapevo delle postazioni attorno alla capitale, ma avevo chiesto del tempo per soddisfare le richieste che avanzavano. Pensavo che catturare Blackfield fosse una questione di giorni, e con quella cattura risolvere i problemi economici lasciati da mio fratello…” sospirò. “La guerra non si fa solo con i cannoni. Servono soldi, tanti soldi. E mio fratello ha sbagliato, ci siamo sbagliati tutti. Ho persino mentito al Cacciatore, garantendogli tutte le forze di cui disponevo, ma la verità è che non ne ho neanche una”

Fece una pausa, arricciando le labbra. Si sentiva sconsolato. Il fatto stesso che il Cacciatore avesse rilasciato a terra quei tre voleva dire che non si fidava di lui. Stava cercando un covo dei pirati proprio fra quelle vie, ma le conseguenze di quella decisione erano andate troppo in là rispetto a quanto probabilmente quell’uomo aveva preventivato.

Scoppiò una cannonata più vicino di quel che Taddeus credeva.

“I pirati ci sono o no in questo luogo terribile?” chiese il Re. Doveva assolutamente capire cosa stesse succedendo prima di incontrare i capi della rivolta.

“Sì, ci sono, mio signore” disse Bruce Johnson. “Tuttavia, li abbiamo persi di vista una volta cominciata la battaglia. Probabilmente sono fuggiti”

“Come i topi dalla nave che affonda” commentò il Re. “Forse, non tutto il male viene per nuocere, anche se nessuno vorrebbe mai vedere la propria casa bruciare… va bene, siete liberi. Tornate a ricongiungervi con il Cacciatore, se vi riesce, e buon pro vi faccia”

Detto quello, Taddeus si alzò e tornò alle sue occupazioni. Si chiese se fosse quello che avrebbe dovuto dire il Re… quello che avrebbe detto Sebastian.

Tornò alla cappella reale, custodita nei sotterranei del palazzo. Era dedicata a tutti gli dei esistenti, e vi si inginocchiò non per pregare quelle vecchie statue di bronzo, ma era rivolto a un’anima prigioniera della Dea Nera, la triste mietitrice.

“Sebastian! Dimmi quello che devo fare! Mandami un segno! Io non voglio fare il Re…”

E sudò copiosamente, perché improvvisamente seppe quello che deva fare: incontrare i capi dei rivoltosi e sperare che non gli torcessero un capello. Né a lui né alla povera figlia, rinchiusa nelle proprie camere con le nutrici.

I fratelli Johnson e Morrison, invece, uscirono fuori dal Palazzo e corsero a perdifiato verso il mare sfruttando il viale dritto che dalla piazza antistante l’edificio arrivava al porto, dove avrebbero trovato alcune persone di loro conoscenza…

 

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2 pensieri su “Il sale e il sangue/24

  1. Ecco che anche a terra la situazione si fa focosa!
    Insomma, era una giornata normalissima… A parte la rivoluzione XD
    La trama avanza veloce e questo mi piace. Ora che la capitale è stata attaccata e il re è costretto a fare il re non c’è nulla di scontato!
    Anche il destino di Alexa e dei suoi compagni mi incuriosisce parecchio. Non so come mai ma temo che anche i loro piani non andranno come previsto! Chissà se tutte le strade portano al Nonmondo o se si incontreranno da qualche altra parte! Vediamo intanto cosa si inventeranno questi due gruppi di marinai atterrati!

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