Il sale e il sangue/26

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Steven Blackfield si sentiva a un passo dalla verità. Aver incontrato e conosciuto addirittura il capitano della nave che aveva ospitato il Cacciatore il giorno del suo viaggio di nozze non poteva essere solamente fortuna.

Era davvero un segno dalla Dea Nera, la quale stava accanto ai moribondi per accompagnarli nel suo regno, dove tutti finiscono, che fossero malvagi o giusti, in attesa della Mietitura, momento che secondo la mitologia avrebbe tolto l’Orizzonte dal mondo e Dei e Uomini si sarebbero finalmente incontrati.

“Voi… avete visitato la tomba di qualcuno?” chiese curioso Blackfield salendo sulla calesse del capitano, dopo aver dato ordine a Snejder di osservare il lavoro di Hiroshi e Lin mentre lui era lontano.

“Be’, sì, non è che si va al cimitero per visitare turisticamente il mondo dei morti” rispose il capitano. “Per inciso, Ticat è la città più grande fra le Sette Sorelle, quindi mia madre è stata sepolta qui, morta dopo un tentativo disperato di curarla dal suo male allo stomaco”

“Nessuno ha mai capito di cosa si trattasse?” chiese Steven, toccando il suo stomaco.

“Anche se fosse, non abbiamo chiesto un’indagine. Nostra madre è morta, pertanto sapere come è superfluo” rispose laconico l’interlocutore, attento a non incrociare strade troppo dissestate.

Nessuno dei due parlò oltre, mentre il calesse proseguiva su un sentiero che serpeggiava fra le immense campagne verdi poste a ovest della città di Ticat. Blackfield notò alcuni alberi sparuti e pascoli di pecore. Gli venne in mente di dover provare il formaggio locale. Le fattorie che si presentavano sul loro percorso erano tutte ben curate, e saltuariamente i fattori o le loro mogli si fermavano a salutare quel marinaio, che doveva essere dunque benvoluto. Steven sentì un moto di gelosia nei suoi confronti: era solo Blackfield che doveva essere amato.

Nel frattempo il cielo cominciava a rannuvolarsi, il tipo di situazione che piaceva al pirata: né troppo caldo, né troppo freddo.

Alla locanda, Josephine si accorse solo allora che Steven era scomparso assieme a Snejder, Lin e Hiroshi. Aveva appena terminato un lungo dialogo con Ursus, che si scoprì essere un tipo che conosceva un sacco di aneddoti davvero divertenti e che alla fine era riuscito persino a fare colpo su Marta.

“Dov’è finito Steven?” chiese dunque, posando il suo boccale di birra, ormai vuoto. “Aveva detto che aveva un colloquio, ma…”

“Oh, be’” rispose Ursus, studiando Bob che era indaffarato a servire i tavoli. “Lin e Hiroshi mi hanno detto che hanno scoperto una cosa importante sul Nonmondo ed è per questo motivo che abbiamo organizzato questo incontro qui”

“Ah” riuscì a dire Josephine. E lei?

Guardò Marta, che era perplessa quanto la sorella. Passò in rassegna anche Klaus e Peter, anche loro membri della cerchia più stretta di Blackfield. A nessuno parve importare nulla, a quel tavolo l’unica preoccupata di quella sparizione era lei.

Non ne capiva il motivo: Blackfield le aveva chiaramente detto che l’amava, aveva passato notti stupende fra le sue braccia, fra le lenzuola candide, vissuto esperienze inenarrabili e annusato il suo profumo persistente di salsedine. Lei stessa gli aveva donato il cuore e la mente, e lui sapeva come e dove toccare le sue intimità. Josephine si sentiva innamorata, pronta a morire per lui, giustificarlo in tutti i suoi ideali e in tutti i suoi omicidi. Era pronta a condividere con lui tutti gli aspetti di quella vita, a mostrargli tutte le parti private del suo cuore, a fare della sua felicità la propria in un connubio indissolubile.

Fino a qualche attimo prima, era convinta che fosse la stessa cosa anche per lui.

“Non l’avranno rapito, presumo” insisté rivolta ad Ursus, che aveva cambiato argomento, beandosi degli occhi dolci che gli faceva Marta.

“Ursus? Vuoi ascoltarmi, per favore?” chiese Josephine, cercando di scrollargli l’ampio braccio per poter essere ascoltata, ma accadde qualcosa di inaspettato.

Il nerboruto gigante a capo della città batté la mano dell’altro braccio sul tavolo e si avvicinò faccia a faccia a Josephine, urlandola “Non devi toccarmi!” sputacchiando anche un po’ di saliva. L’odore della birra pervase le narici della ragazza che chiuse gli occhi disgustata.

“Se sei tanto preoccupata per Steven, perché non vai a  cercarlo, invece di toccare le braccia degli altri?” sbraitò in un secondo momento Ursus. A Josephine non rimase altro che alzarsi e andarsene, diretta verso una destinazione ignota. Era la prima volta che Steven le nascondeva qualcosa, o peggio, aveva dimenticato di portarla con sé, come se lei fosse un oggetto da ricordarsi solo per il sesso. Camminando per la via principale, le parve di vedere Maggie, la ragazza di Jack, comprare alcune verdure. Che ci faceva fuori dal vascello? Comprare le provviste non era compito dei mozzi, inoltre a Ticat, la capitale di Rumala, tutto era gratuito per la Black Sheep.

Josephine sbuffò, forse non era lei e quella tizia le somigliava soltanto. Non era mai stata brava ad associare nomi e volti, così rubò un calesse e andò fuori città, verso il mare, per una passeggiata chiarificatrice.

Nel frattempo, Snejder aveva il cuore pesante. Avrebbe tanto voluto dedicare una preghiera alla tomba della sorella, che stava aspettando, assieme alla Dea Nera, l’Ultimo Giorno.

Era morta cinque anni prima, senza che lui potesse saperlo, in quanto era impegnato in una battaglia contro un’altra ciurma di pirati, per un tesoro che poi presero. Adesso, la lealtà verso Steven Blackfield era più salda che mai, ma quando ci si metteva quel bastardo andava persino oltre il rispetto e l’amicizia, solo per perseguire i suoi capricci. E forse, per la prima volta, cominciò a non stargli bene. Ormai, dal punto in cui erano, non era più visibile la tomba di Rachel e comunque doveva sorvegliare Lin e Hiroshi, i quali non sembravano dare segno di progressi nella loro traduzione.

“Ehi tu! Come mai sei così impegnato a cucire reti da pescatore?” chiese curioso un ragazzo dai lunghi capelli neri. Sembrava trascurato, di sicuro non dormiva da tempo.

“Cerca di farti i cazzi tuoi, stupido” rispose seccamente il giovane Thomas, che disperato cercava di sciogliere un nodo complicatissimo.

Tuttavia, il ragazzino non sembrava voler demordere. “Sembri simpatico! Io mi chiamo Steven Blackfield e ho intenzione di fare il pirata per cambiare il mondo e vivere felice. Ti va di cambiarlo con me? Potresti fare il mio secondo”

Il giovane Thomas alzò finalmente lo sguardo verso quello stupido e vide che aveva la mano tesa, come a voler davvero stringere amicizia. Rise, sinceramente divertito.

“Ma dove devi andare? Hai solo, che so, dodici anni?” disse.

“Ne ho quattordici” precisò Steven. “Tu stringimi la mano. Vedrai di cosa sono capace di fare, ed io ho bisogno di te. Sei un grandissimo cecchino ed esperto in armi e cannoni, non puoi non avere posto nella mia grande festa”

Thomas ghignò, lusingato. In effetti, la sua vita non gli piaceva e Steven sembrava folle al punto giusto. Inoltre, anche lui aveva sedici anni e poteva fargli da guida.

“Dai, ci sto! Fammi vedere!”

Thomas Snejder, ormai trentaseienne, si passò una mano sugli occhi, che cominciavano a bruciare. Si era perso nei ricordi, di un Blackfield ancora sano di mente, e non aveva fatto caso ai due occidentali che lo chiamavano.

“Abbiamo fatto quanto potuto” disse Lin. “Vuoi sentire, anche se non ha molto senso?”

“Sì” disse Thomas.

Hiroshi prese alcune carte e lesse: “Sappiate anzitutto questo… è fatto da… i quattro Santi… non è più un segreto

Il vice capitano della Black Sheep guardò i due fratelli, come in attesa di altro. “Ebbene?”

“È passato troppo tempo e non siamo riusciti a tradurre altro. Inoltre, alcuni caratteri cambiano” disse Lin, consultando i suoi appunti.

“Che cosa? Sei impazzita?” Thomas sentì una fitta alla testa, stavano accadendo troppe cose e doveva pensare ad ognuna, dunque per distrarsi andò a guardare la tomba, arrivando persino a rannicchiarsi per osservare meglio. Lin gli indicò un angolino oscurato dalle fronde degli alberi dove, effettivamente, i caratteri impossibili da leggere cambiavano,  di un minimo, per poi tornare alla forma precedente.

“Non ho mai visto niente del genere. Che lettere sono?” chiese Thomas.

“Non sono lettere” precisò Hiroshi. “In base a quanto scritto sul libro che abbiamo trovato, la lingua del Nonmondo si compone di sillabe. Per cui, la maggior parte del tempo la sillaba che guardiamo sembra un LA ma poi diventa un EMI. Il significato rimane oscuro, perché è cancellato”

Thomas si rialzò, scosse la testa e, con una vaga consapevolezza riguardante la non esistenza del Nonmondo, ordinò agli altri due di tornare indietro, verso la locanda, in modo da fare il punto della situazione mentre Steven faceva ciò che aveva in mente, qualunque cosa fosse.

Per la prima volta, Thomas Snejder non sapeva cosa avesse in mente Steven Blackfiled.

Nel frattempo, il pirata più temuto dell’oceano era giunto alla fattoria dove viveva, ritirato, l’ex capitano della nave che aveva ospitato il Cacciatore. Era con una certa ansia e un tremore alle mani che Blackfield cercava, febbrilmente, fra quelle carte ingiallite dal tempo.

“Voi vi ricordate quando avete compiuto quella tratta?” chiese, dopo aver fatto un bel po’ di disordine, senza permettere al padrone di casa di indicargli quale fosse il modo migliore per compiere la ricerca.

“Lo ricordo molto bene” rispose dunque, accendendosi una pipa “Era il cinque luglio di dieci anni fa. Credo che fosse un Giorno Blu”

Blackfield, di rimando, pensò che fosse un’idea stupida dedicare i giorni della settimana ai sette dei principali, tuttavia prese il volume dedicato all’anno duemiladuecentotrentadue, secondo il Calendario Unico, e trovò subito quello che cercava.

Il suo indice destro si mosse in totale autonomia, fino a capire che, seppur ci fossero diversi nomi maschili, poteva essere chiunque di loro.

“Come faccio a capire quale uomo è fra di loro?” chiese Steven all’ex capitano. Quest’ultimo non si scompose, anche lui voleva sapere come si chiamava il famoso Cacciatore.

“Si è sposato con una certa Jane, vedi? E Jane, come puoi notare, aveva appena preso il cognome del marito rispettando la tradizione di certi popoli del Nord, che è… Van Jeger. Pertanto, nella lista c’è un solo cognome appartenente a un adulto che compare due volte, ed è Van Jeger. Dopo Jane, c’è… Eric. Eric Van Jeger”

“Eric Van Jeger” ripeté lentamente Blackfield, come a voler assaporare ciò che stava dicendo. Lo ripeté anche a voce più bassa. “Voi dite che è un uomo del Nord?”

“Sì” rispose il capitano. “Solo gli uomini del Nord, ormai, rispettano la tradizione di mettere alle donne i cognomi dei mariti. E guardate la data di nascita: Jane non può essere figlia di Van Jeger, e neanche fratelli, perché c’è anche il cognome da nubile. Inoltre, nella lista compaiono uno sotto l’altra, per cui… abbiamo trovato il Cacciatore”

“Sì” disse Blackfield, ghignando malevolo, osservando la luce di una candela sul tavolo che finì per imprimersi nell’iride. “Lo abbiamo trovato”

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2 pensieri su “Il sale e il sangue/26

  1. Alla fine è stata proprio la tanto amata Jane a tradire il Cacciatore! Non solo durante quel viaggio si è ritrovato vedovo, ma ha anche fornito anni dopo la sua identità al suo nemico!
    Dove la ciurma del Cacciatore sembra saldarsi, però, quella di Blackfield sembra perdere colpi. Forse lui e la sua ossessione sono diventati troppo vicini e non c’è spazio per altri, o forse semplicemente Steven si sta dimenticando come funzionano gli altri esseri umani, in ogni caso dovrà, presto o tardi, fare i conti con le sue azioni!
    Mi è piaciuto molto scoprire come lui e Thomas si sono conosciuti, spero che la loro relazione non vada troppo a scatafascio… A tutti serve un buon amico, anche ai pirati!

    Piace a 1 persona

    1. Blackfield aveva sentito parlare di Snejder, abile cecchino. Aveva sempre avuto le idee chiare, fin dall’inizio. Poi, però, la vittoria inaspettata contro il Re Ammiraglio e il Nonmondo che promette rose e fiori… persino un uomo retto come Steven può vacillare. Diciamo che adesso la situazione comincia a ribaltarsi e il Cacciatore POTREBBE avere una gioia, Però potrebbe.

      Cacciatore che, da fidanzato, ha avuto dei problemi con Jane, proprio per il suo mestiere. Lei non aveva mai voluto che facesse quel mestiere, ed ecco quindi il vero nome che campeggia nei vecchi archivi, per la gioia del nostro Blackfield. Capitolo chiave che ha meritato questa ottima recensione, grazie **

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