Fu Bruce Jameson a svegliarsi per primo, a causa di un colpo di onda un po’ più violenta che riuscì a scavalcare la fiancata dello scafo e finirgli sulla faccia.
“Dove… siamo?” chiese, cominciando a sentire la durezza del legno sotto di lui. Solo in un secondo momento si accorse di essere legato agli altri due suoi compagni. Si trovava all’interno di una barca abbastanza grande da ospitare sei persone, tre delle quali erano loro. Gli altri tre erano due ragazze, di cui una impegnata alla barra del timone, e un uomo alto che vogava, del quale ricordava chiamarsi Olaf. Accanto a loro, un’altra barca che ospitava il resto della compagnia di pirati.
Il mare in quel momento faceva oscillare entrambe le imbarcazioni e il sole compariva e scompariva fra le nuvole. Tuttavia, non avrebbe dovuto piovere, secondo la sua esperienza.
Ciò che lo spaventava di più, tuttavia, era la vasta distesa di mare che non lasciava spiragli da nessuna parte davanti a lui. Alla sua sinistra, coperta dagli altri due ancora dormienti, probabilmente sbiadiva la città di Tukha, ma davanti a loro si proponeva l’enorme golfo di Tutuk Naga.
“Adesso siamo sicuri che non sparirete” disse una delle due donne che erano con loro. Aveva preso la parola così improvvisamente che Bruce si spaventò. “Non ho ancora capito perché non vi buttiamo giù per il mare, probabilmente stiamo solo cercando un punto abbastanza profondo e…”
“No, Lucy” disse l’altra donna. Si era appena riscossa da quello che sembrava uno stato di catalessi, intenta com’era ad osservare i muscoli di Olaf che si contraevano e si rilassavano ritmicamente, dovuto alla fatica della voga.
“Non butteremo giù per il mare proprio nessuno. Credevo di essere stata chiara”
Lucy, tuttavia, batté un pugno su uno degli scalmi, ritraendo poi la mano per essersi fatta male. “Ma Alexa! Costoro hanno causato la battaglia alla capitale e ci ha costretti alla fuga! Steven…”
“Il Capitano Blackfield sicuramente saprà cosa fare di tre marinai vivi che hanno fatto parte dell’equipaggio del Cacciatore” interloquì Olaf, impegnato a remare, in una direzione che conosceva solo lui.
“E cosa vi fa pensare che lo troveremo a Inoquit?” chiese Lucy.
“Non lo sappiamo, infatti” disse Alexa. “Noi stiamo andando a Inoquit solamente per tenere dietro le sbarre questi figli di puttana e radunare un po’ di marinai per contrattaccare i rivoltosi che hanno occupato la capitale. Questa guerra civile non ci voleva, evidentemente i paesani sono insoddisfatti. Ma come, dico io, Tutuk Naga non era un regno ricco e fiorente?”
“Lo era, forse” disse Lucy. “Tuttavia, credo che tu non colga nessuna notizia. È da sei mesi, da quando è salito al trono Taddeus, che il popolo rumoreggia.”
A Bruce venne in mente quell’invettiva fatta dal Re stesso, che riguardava proprio Re Sebastian e la sua ossessione per il mondo marino.
“Probabilmente la gente non è molto soddisfatta dai Ravenwood. Sia Sebastian che Taddeus sono degli inetti” concluse Lucy.
“Avremmo dovuto creare degli avamposti in tutto il regno” disse Alexa, pensierosa. “In modo da conoscere di prima mano qual è veramente lo stato d’animo del popolo. Abbiamo sempre dato per scontato che tutto il regno fosse felice e florido, invece i Ravenwood hanno davvero nascosto qualcosa… che sia questo il segreto che il Capitano conosce? Il Re Ammiraglio ha prosciugato tutte le casse dello stato e allora la nazione creata dai suoi padri è andata in bancarotta?”
“No… o perlomeno, non credo. Se la capitale è florida, come facevamo a sapere che i paesini all’interno fossero invece poveri? Noi abbiamo sempre vissuto sul mare visitando tutte le isole qui intorno e attaccando le navi che vengono dall’Impero Occidentale, non potevamo conoscere ciò che succedeva a Tutuk Naga. O perlomeno, io non sono certo nativo di lì” disse Olaf, molto più aperto alla conversazione rispetto alla prima volta che Bruce lo aveva visto.
“E neanche noi” disse Lucy. “Io sono nata nella Signoria di Xameless, oltre le montagne. Ho conosciuto Blackfield quattro anni fa. E tu, Alexa?”
“Io faccio parte della Black Sheep da sette mesi, ma prima e durante la Battaglia dell’Aurora ero un capitano di una mia ciurma al suo servizio. Tutti i miei uomini sono morti, annegati o squartati dai bastardi del Re Ammiraglio” spiegò Alexa. “Tuttavia, io sono nata a Ticat, nell’isola di Rumala.”
“Nessuno di noi è di Tutuk Naga?” chiese Lucy, incuriosita, ormai presa da quella discussione. Nel frattempo, la barca continuava il suo lento peregrinare verso la destinazione, che sembrava irraggiungibile a quella velocità. “Chang? Joseph?”
“Chang ovviamente è il terzo fratello, con Lin e Hiroshi, proveniente dall’Impero, mentre Joseph… eh, Joseph credo che sia davvero nato e cresciuto al di qua delle montagne” disse Alexa, così urlò verso l’altra barca. “Joseph! Sei nato e cresciuto a Tutuk Naga?”
“È così” rispose lui ad alta voce. “Sono di un paesino chiamato Ubuntu. La mia era una famiglia povera che doveva sfamare otto figli, ma non pensavamo che fosse una cosa comune anche agli altri paesi, sapete, le comunicazioni sono ridotte al minimo. Faccio parte del gruppo di Steven Blackfield da cinque anni”
Bruce ascoltò tutta la conversazione, poi le due barche caddero nel silenzio. Inoquit era lontana, e probabilmente sarebbe arrivato il loro turno di essere interrogati. Ogni tanto, sulle loro teste volava un gabbiano: sembrava tutto tranquillo, in mezzo al mare, lontani dalla guerra, dalle lotte e dalle incomprensioni. La disputa fra il Cacciatore e Blackfield si riduceva a una baruffa fra ragazzini di fronte a quell’immensità. Che senso aveva, infatti, capire chi avesse ragione e chi torto? Non era forse meglio ammirare l’immensità del mare, osservare la superficie che si increspava dando origine alle onde e comporre canti e poesie in sua lode?
Eppure, realizzò Bruce, era costretto legato assieme a suo fratello e il signor Morrison, per colpa di qualcosa che non era di loro competenza.
Stava pensando a loro quando si svegliarono.
“Dove… siamo?” chiese James.
“Oh, vi siete svegliati anche voi” li salutò Lucy Savage. “State andando a morire” spiegò brevemente, anche se dentro di lei avrebbe comunque voluto lanciarli sotto il mare, e magari acquistare velocità.
Passarono dunque le ore, e i tre pirati si diedero vicendevolmente il cambio nella remata, condizionando dunque la velocità. Venne la sera, ma il tempo nuvoloso rimase immutato. Il mare si colorò di nero, mentre le stelle visibili permettevano a Lucy e Olaf di tracciare una rotta approssimativa, in modo da non perdersi. Bruce Jameson si chiese quando ebbero avuto il tempo di prendere carte e strumenti, o forse c’erano già sulla barca.
“Sì, però si muore di noia, eh” commentò Lucy, una volta terminato il suo turno. “Perché non muovete il culo un po’ anche voi? Tanto, non avete dove andare e non vi possiamo uccidere, dunque potete fare del lavoro per noi”
Così, mentre la notte avanzava e moriva lasciando il posto all’aurora e alla mattina, i tre marinai del Cacciatore presero i remi e portarono la barca secondo le direttiva dei pirati. Morrison invece salì sull’altra scialuppa, quella abitata da Joseph e Chang, in modo da dare il cambio anche a loro. Nell’avanzare del secondo giorno, lo scenario non cambiò: il mare si stendeva per miglia e miglia a vista d’occhio, si colorava di azzurro o di blu e il vento cambiava direzione o aumentava a seconda dell’ora. Tuttavia, nessuno parlò o comunque nessuno aveva da dire nulla che fosse lo stretto necessario.
Scese la sera, e ancora le nuvole persistevano sul cielo. A un certo punto, a James Johnson venne in mente qualcosa che aveva sentito dal Cacciatore, riguardante il luogo dove le nuvole incontravano il mare.
“Voialtri conoscete un luogo dove le nuvole incontrano il mare?” chiese, rivolto ad Alexa che era sdraiata su uno dei banchi persa nei propri pensieri.
“No” rispose lei, in modo vago. “E anche se lo conoscessi, non te lo direi. Non sono faccende che ti riguardano, sai com’è”
“E questo è pur vero” rispose James. Solo in un secondo momento si disse che era stato un tentativo puerile e velleitario di capire dove si trovasse quel luogo, perché aveva capito che era proprio il covo principale di Blackfield.
Arrivò il terzo giorno, lentamente come i precedenti. Se la mattina sembrava identica, anche se in quel caso il sole batteva forte sulle loro teste, al punto da doversi bagnare il capo, una volta che il sole scese dallo zenit la barca di Joseph, Morrison e Chang trovò qualcosa che galleggiava sul mare.
“Ehi! Ehi! Qua c’è scritto Nonmondo!” urlò l’uomo dell’Occidente a quelli dell’altra barca. Alexa diede ordine di fermarsi e aspettare Chang, che aveva in mano una tavoletta.
“Abbiamo trovato alcuni relitti” disse lui, poi si guardò intorno e commentò “Caspita, qui è affondata una nave”
Era vero. Tutti i presenti capirono che, in base alle tavolette di legno che ancora galleggiavano, e ce n’erano un buon numero, era avvenuta una battaglia.
“Questa è opera di Steven Blackfield” commentò Olaf. “Nessuna tempesta può ridurre così a brandelli una nave”
“Sì, ma guardate questa tavoletta! È di pietra pomice, non di legno!” insisté Chang. Alexa la prese e lesse, in caratteri scolpiti con una tecnica incomprensibile: “Il Nonmondo è buio per chi è cieco”
“Be’, sfido io” commentò Lucy. “Al buio, siamo ciechi tutti”
“Secondo me siamo vicini al luogo dove si trova” disse Chang, nervoso. “Non resta che andare a Inoquit e vedere coi nostri occhi cosa hanno scoperto Lin e Hiroshi, se sono lì. Di sicuro questo artefatto non si trova nelle bancarelle a poco prezzo! La nave che sfortunatamente ha incontrato nella sua strada la Black Sheep portava con sé almeno un’opera della leggenda. Il mito quindi esiste, e se esiste custodisce con sé la vita eterna”
Morrison si soffermò sulle ultime tre parole di Chang. Sarebbe stato bello vivere per sempre, peraltro sarebbe servito anche in quel frangente, dove sarebbe stato sufficiente tuffarsi e nuotare verso la riva, conscio di non poter morire qualunque cosa dovesse accadere. Sospirò: forse il Nonmondo non apparteneva alla gente comune, quest’ultima poteva solo sbracciarsi per far sì che gli eletti avessero il posto che meritavano.
E quell’eletto era una persona sola, una persona che nonostante le previsioni era riuscito a infilzare la testa di un Re sulla sua picca.
Quell’uomo era Steven Blackfield.
Da liberi che erano, rieccoli legati e storditi nelle mani dei pirati! Non posso non amare la crudele ironia che colpisce questi poveri marinai, eppure ho come la sensazione che la destinazione comune presto si dimostrerà un problema. Se troppa gente dovesse trovarsi lì voleranno tantissime botte (e io non vedo l’ora).
Chissà come mai il fato continua a spingere insieme questi due gruppi di persone, sono sicura che ci sia un motivo e che quando verrà fuori resterò a bocca aperta!
Intanto, come sempre, ottimo lavoro! Ci becchiamo al prossimo capitolo!
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Il Nonmondo è buio per chi è cieco. Basta questo per rendere questo capitolo importante, no? E ti assicuro che i tre marinai del Re che adesso sono sulla stessa barca dei pirati, avranno un ruolo importante per Blackfield stesso, vedrai vedrai XD grazie mille per il tuo ricco passaggio, come sempre ❤
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