Regalami una stella/7

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Da soli, chiusi nello stanzino, Olaf e Katy stavano attendendo il loro destino. E dire che sarebbe bastato anche un passaggio segreto piccolo e Olaf avrebbe subito trovato un’astronave per squagliarsela. La situazione richiedeva un cambio di programma, anche se suo padre non se lo sarebbe mai aspettato.

“Dobbiamo assolutamente fare qualcosa per andarcene da questo posto. Fammelo analizzare” disse ad un tratto Olaf, anche se Katy guardando attorno a sé capì che non c’era molto da analizzare.

Si alzò e cominciò a toccare il muro sgombro che formava un angolo col finestrone che dava sul satellite terrestre.

Certamente qualcuno avrebbe obiettato che era un paesaggio  più unico che raro e una foto ci sarebbe stata benissimo, ma non avevano macchine fotografiche e i cellulari erano come morti.

Toccò e spinse più volte la superficie liscia, ma non riuscì a ricavarne alcunché.

“Cosa stai…?” “Ssssh”

Queste le uniche cose che si dissero i due durante tutto l’esame.

Alla fine, Olaf scosse la testa.

“L’unico modo per uscire” disse “è aprire la porta lì davanti”

Katy era sbalordita.

“Oh, che genio” commentò. “Non ci sarei mai arrivata senza di te!”

“Bene allora, vediamo che sai fare tu!” disse lui.

Katy però non aveva idea di trovare alternative alla proposta del ragazzo. Dovevano evadere e tornare sula Terra, volenti o nolenti, altrimenti Loxombra li avrebbe torturati per qualche motivo.

Così si posero di fronte la porta scorrevole, che però non si mosse.

“Me l’aspettavo” disse Olaf. “Bene, Katy, è ora di far vedere a tutti come seduci”

Katy lo guardò allibita.

“Credi che se seducessi una porta questa si aprirebbe?”

Olaf annuì vigorosamente. “Certo!”

Ormai la follia stava serpeggiando fra i due. Ma non per questo si stavano disunendo, anzi la follia fungeva da secondo collante.

Katy naturalmente non era disposta a sedurre una porta, piuttosto stava cercando di forzarla con scarsi risultati.

“Aiutami, invece di guardare!”

Olaf era distratto dai gemiti di sforzo della fidanzata per fare alcunché, ma si rese conto che doveva fare qualcosa, così gli venne un’idea.

Si avvicinò al pannello e gli disse “Salve. Sono Loxombra”

il pannello si mise a ridere. “No, tu sei un cretino che crede di imitare una voce”

“Ebbene? Anche se lo fossi, cosa ti cambierebbe? E se Loxombra lo stesse facendo apposta per torturarmi?” disse Olaf, sicuro di sé.

Il pannello allora si sconvolse.

“Oh, scusatemi, Loxombra, adesso vi faccio passare, stando bene attento a colpire l’ostaggio mentre sta passando, in modo che rinunci a uscire”

“Perfetto, grazie” rispose Olaf,  ed entrambi approfittarono dei pochissimi secondi in cui la porta rimase aperta.

“Sei un genio, tesoro mio” disse Katy, adorante.

“Sì” tagliò corto lui. “Adesso dobbiamo trovare la sala della Astronavi. Chi mi sa dire dove si trova?”

I corridoi erano numerosi, tanto da far spingere i due ragazzi a domandarsi come diamine facesse Loxombra a indovinare sempre quello giusto.

“Uhm… dovremmo tentarli tutti” propose Katy.

“E se Loxombra ci scopre? E poi non è detto che ci sia solo lei” ribatté Olaf, guardandosi attorno come per scegliere qual era la direzione giusta.

“E allora come ti spieghi il fatto che non abbia messo sentinelle?” disse di nuovo Katy, ragionando.

Olaf doveva essere d’accordo per forza.

In effetti trovava strano che in quell’astronave ci fossero solo loro tre. Evidentemente tutto l’esercito era sulla Terra a fare danni.

Bene quindi, i due potevano anche permettersi di perdersi, tanto Loxombra non li avrebbe trovati, ignorando quindi che loro non conoscevano l’astronave, l’aliena sì.

Ma l’unico pensiero di Olaf in quel momento era quello di toccare le tette a Katy trovare l’astronave per tornare a casa.

Perciò prese il secondo sentiero da sinistra e ed entrambi cominciarono ad indagare in quel senso.

Katy disse subito “Sei sicuro che sia quello giusto?”

“Certo che no” rispose il suo compagno. “Ma da qualche parte dovevo pure cominciare, altrimenti quella lì sarebbe tornata scoprendoci fuori dalla stanza”

Percorsero qualche metro, sempre diritto, nel corridoio fiocamente illuminato da dei neon color porpora.

Sembrava essere infinito. Quella sensazione di buio e occlusione che non si capiva perché né da dove finiva.

Erta davvero lungo. I due stavano cominciando a preoccuparsi.

Le uniche cose che si sentivano, oltre a un ventola per l’aerazione, erano i loro respiri.

Sempre più buia e silenziosa. Persino i neon stavano cominciando a guastarsi, per lasciarli al buio più totale.

Chissà quale trappola aveva scelto Olaf per la sua fine. Questo pensiero era dominante nei due ragazzi.

“Che faremo se non troveremo una via d’uscita?” chiese Katy.

“Non lo so.“ rispose Olaf.

Alla fine arrivarono a un muro.

“E quindi? Non porta a niente questo posto?” chiese Olaf, sudando un po’, perché aveva percorso quelli che si rivelarono gli ultimi metri di corsa.

Improvvisamente, scattò una porta scorrevole che dava a un altro corridoio, e poi a un altro, e poi un altro.

A differenza del percorso diritto che avevano fatto in precedenza, quel percorso tortuoso dava la sensazione di stare camminando, ma allo stesso tempo era come se fossero in trappola, poiché la via era una e non dava adito ad alternative.

“Che Loxombra sappia della nostra fuga?” chiese Katy. “Voglio dire, è ormai più di mezz’ora, credo, che camminiamo! Non si vede la fine! Che sia un suo sporco trucco per illuderci che in realtà uscite non ne esistono?”

Olaf scosse la testa. “Dobbiamo essere più forti di lei. Il fatto che non ci siano altre stanze mi da’ da pensare che questa è la via giusta”

E infatti…

Una porta luccicante con scritto qualcosa nella lingua aliena che nessuno dei due sapeva tradurre.

“Eccoci. Siamo all’hangar delle astronavi più piccole” disse Olaf, osservando quei caratteri come se sapesse leggerli.

Katy deglutì. Si fidava del suo compagno, altrimenti non avrebbe mai accettato di essere la sua ragazza.

La porta non era scorrevole, il che era un buon segno. Olaf prese la maniglia e tirò, ma vedendo che non si apriva spinse.

Nemmeno. Olaf fece un cenno a Katy e sfondarono insieme la porta.

Entrambi caddero dentro un angusto stanzino, pure sporco, e soprattutto porpora, contenente un bagno alla turca e un lavello per lavarsi le mani tutto crepato.

“Credo che questo sia il bagno di servizio. Come vanno di corpo questi alieni?” chiese Olaf a Katy, ma quella non sapeva rispondere, il che mi fa pensare a una domanda retorica.

In ogni caso, avevano sbagliato stanza.

Tornano indietro e aprirono un’altra stanza, che conteneva camere da letto.

Un’altra stanza, che però fungeva  biblioteca, con libri olografici per non sfogliare, che poi devi leccarti il dito e poi si impiastriccia tutto e non riesci a staccare le pagine. Brrr.

Almeno quelli erano i pensieri di Olaf.

Alla fine, trovarono una scala.

“Forse sono nei sotterranei” propose Katy. Olaf annuì e decisero di scenderli.

Erano scale che si lamentavano se le schiacciavi con troppa forza, e vista la premura dei due ragazzi, avevano avuto di che lamentarsi.

Ma a loro non interessava, a loro importava arrivare all’hangar e concludere la storia.

Ed eccolo, dunque. Un hangar bellissimo, grandissimo, levissimo, color bianco e porpora, contenente un sacco di dischi volanti proprio a forma di freesbee come i cliché ce li hanno regalati.

“Eccoci. È bellissimo. Dopo quello che abbiamo passato, vederli così non mi fa esprimere quello che sento veramente” commentò egli.

“Beh, spero che tu abbia la patente di guida, non mi piace essere fermata mentre stiamo guidando” commentò ella, in una frase senza senso. Nello spazio non esisteva il codice della strada, proprio no, neanche per sbaglio. Forse l’aveva detto semplicemente perché era troppo nervosa per ragionare.

“Scegliamone una e partiamo” disse Olaf, sicuro di poter salire. Vide una scala appoggiata, evidentemente anche gli alieni avevano difficoltà a raggiungere la porta che stava sopra.

Perché altrimenti non si spiegava a che servisse quella scala.

Seguendo quindi quella sua deduzione, poggiò la scala sopra il disco volante, senza sapere quello che sarebbe successo dopo.

Un urlo lancinante. Almeno un orecchio del figlio di Olaf senior era perduto per sempre.

Una sirena cento volte più forte e scoccata all’improvviso risuonò nell’hangar, e sicuramente avrebbe attirato le attenzioni di Loxombra, se già non si era messa all’erta avendo scoperto l’evasione.

“Dai, saliamo lo stesso!” esortò il ragazzo alla sua compagna di vita, ed entrarono. Fu abbastanza semplice entrare, il coperchio si aprì da solo al contatto con la mano.

Il cubicolo era strettissimo per due persone, però fecero di necessità virtù. Olaf fece per mettere mani al volante, ma non ce n’erano.

Anzi, non c’era proprio il resto di niente. Era solo un cubicolo vuoto con solo una finestra per vedere al di fuori.

“Oh, no! No, no, no, no! Dimmi che quello che sto vedendo non è vero!” disse Olaf sconvolto, cercando ovunque una leva, un pulsante, qualcosa.

“Ebbene? Che ti prende, tesoro?” chiese Katy, un po’ schiacciata.

“Non si muove! Non c’è un qualcosa che la fa muovere!”

“Ahahahah! Come? Non sapete che i dischi volanti si muovono per onde cerebrali?” chiese Loxombra, entrando nell’hangar.

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