Il sale e il sangue/48

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Steven Blackfield aveva raggiunto la convinzione che per ottenere il perdono dal suo vice capitano e da Josephine, avrebbe dovuto mettere insieme un altro colpo di teatro. Radunare l’esercito delle Sette Sorelle per intero, farlo guidare da Ursus e infine farlo schiantare verso Tutuk Naga, distruggendo per sempre il nemico chiamato Ravenwood.

In quel modo, ottenendo una vittoria schiacciante, i due si sarebbero ricordati di quanto potente fosse la forza delle sue idee e, convintisi della sincerità del suo pentimento, lo avrebbero perdonato e sostenuto nel suo difficile cammino da Prescelto degli Dei.

I giorni passarono in fretta, e Ticat si presentò, come al solito, al loro orizzonte. La Black Sheep aveva bisogno di ricaricare armi e provviste, prima della battaglia finale.

“Una volta che Taddeus Ravenwood cadrà, non ci sarà più bisogno per il Cacciatore catturarmi” disse Steven a Joseph, il quale portava dentro di sé del rancore per quanto successo con Lucy e Alexa.

“Il Cacciatore agisce per conto di Taddeus, è vero” disse lentamente Joseph, tendendo le braccia conserte per evitare di azzuffarsi col suo capitano “ma, una volta caduto lui, un signore qualsiasi potrebbe assumerlo per farci fuori”

“Non dire sciocchezze, una volta conquistato Tutuk Naga avremo in mano sia quel posto che le Sette Sorelle, divenendo un piccolo impero. Nessuno oserebbe mai più ostacolarci, la nostra ciurma tornerà agli antichi splendori e dietro di me ci saranno di nuovo decine di navi da guerra, anzi, addirittura il doppio delle navi che avevamo a disposizione contro il Re Ammiraglio. Saremo talmente potenti che sarà un delitto di Stato catturarmi e mettermi a morte, e il criminale diventerà il Cacciatore. Vedrai se non sarà così, finora ho sempre indovinato le mie previsioni”

Il vascello, nonostante il mare capriccioso continuava a spingerlo a destra e a sinistra, proseguì silente verso il porto, e attraccò al solito posto. Steven sentì una stretta allo stomaco nel sapere che il suo piano era appena cominciato. In cielo, le nuvole cominciavano ad addensarsi.

Scese dalla nave lentamente, dirigendosi assieme a Olaf, Joseph e Pauline verso la taverna dove Ursus trascorreva le sue giornate.

Certi di trovare una certa tranquillità, fra le vie del paese vi era tuttavia agitazione. La gente correva e bisbigliava, scambiandosi notizie che alle loro orecchie non arrivavano. Anche una semplice compravendita di frutta e verdura diventava occasione per un dibattito politico, che però era sussurrato.

“Che succede?” si chiese Olaf. Blackfield rubò un calesse spingendo il suo pugnale sulla gola del povero ed ignaro vettorino e, facendo salire tutti, si diresse a spron battuto verso l’edificio governativo.

Blackfield aveva una vaga percezione, e adesso aveva capito perché il cielo prometteva pioggia. Un attimo dopo, si diede dello stupido: il cielo non commentava le sue vicissitudini.

Per arrivare agli edifici governativi bisognava attraversare la città per intero, e quartiere dopo quartiere i pirati poterono notare che la gente si preparava a qualcosa che forse nessuno si aspettava: pezzi di legno gettati a terra, sedie, altri rottami e ferrivecchi.

“Le barricate” si lasciò sfuggire Joseph. “Tu, capitano, sei protetto perché sono sei mesi che sei virtualmente latitante e questa città ti ha sempre sostenuto, ma… ma qualcosa sta per cambiare”

“Stai zitto, non sai nulla di Ticat” lo rimbeccò Steven, facendo attenzione a non fare incidenti a causa del galoppo a cui costringeva il cavallo. Appena dopo aver raggiunto la periferia, cominciò a cadere qualche goccia.

Sulla destra compariva il palazzo governativo, battente come al solito il vessillo che Steven Blackfield stesso aveva inventato. Voleva dire che era ancora Ursus il capo della città.

La situazione è ancora risolvibile, pensò il capitano fra sé:

era un piccolo edificio a tre piani, niente di troppo vistoso o superfluo. Steven scese dalla carrozza e bussò con violenza.

Qualche secondo dopo, Ursus in persona venne ad aprire solo lo spioncino.

“Capitano! Che… che sorpresa”

Ursus aveva un unico difetto, tradiva le emozioni. Grande e grosso, eppure sotto pressione impazziva del tutto. Ecco perché Blackfield lo aveva posizionato a governare Ticat, una città relativamente tranquilla e che comunque poteva reggere agli sfoghi violenti dello stesso, quando li aveva.

Forse aveva fatto la scelta sbagliata?

“Che succede in città? La gente non è troppo contenta”

Ursus non rispose subito, e Steven ebbe lo strano sentore che qualcuno stesse bisbigliando dietro di lui.

“Lo so, è che… c’è stato qualche cambiamento negli ultimi giorni” biascicò l’uomo.

Steven sentì la paura nel suo tono.

“Vuoi farmi il favore di aprire questa porta, prima che la sfondi a calci?” incalzò il pirata, mentre la pioggia cominciava a intensificare la sua portata. Oltre alla stizza che gli stava provocando Ursus, si aggiungevano anche i vestiti zuppi.

“Non… non posso…”

L’occhio dell’uomo sparì dallo spioncino e dopo si sentì un forte sparo, che però non era chiaro a chi fosse destinato.

“Ursus! Ursus!” esclamò Blackfield. Non riuscendo più a ragionare, alzò un calcio e dimostrando una forza non comune sfondò la porta, incontrando chi non si aspettava.

Steven inspirò profondamente, tanto che le narici aspirarono persino alcune gocce di pioggia, che lo indussero a tossire.

“Per gli Dei…” commentò Blackfield.

Una volta aperta la porta, fu subito chiaro cosa fosse successo: Ursus, preso probabilmente da una frustrazione mai provata, si era girato e aveva fatto fuori con una coltellata verticale all’altezza del cuore colui che lo minacciava con una pistola puntata sulla nuca, infatti adesso il suo corpo giaceva a terra, con in mano la pistola ancora fumante, e Ursus invece era fiatoni a contemplarlo.

Il corpo apparteneva a Thomas Snejder.

“Capitano” disse Ursus, ricomponendosi. Gettò lo sguardo ai nuovi arrivati e capì che la Black Sheep al completo era giunta in quelle sponde. Per fortuna, si disse. “Qualche giorno fa ho accolto Thomas Snejder, Josephine e sua sorella Marta. Solo quest’ultima, fra i tre, era stata contenta di rivedermi… mi hanno raccontato fandonie sul tuo conto, signore. Hanno detto che hai cercato l’immortalità, hanno detto che hai fatto perdere il braccio al tuo migliore amico e adesso ti sei allontanato dai tuoi stessi compagni per cercare la gloria degli dei. Volevano dunque portare la sommossa qui a Ticat, e il popolo, resosi conto che la tua protezione non era più affidabile, ha deciso di muovermi guerra. In questo momento Josephine è in città, a trattare con una certa Maggie il ritorno con Jack, il quale sembra voler lasciare la nostra ciurma, addirittura.”

Steven raccolse tutte quelle confuse informazioni con un certo disgusto, per di più ne arrivavano così tante che non riusciva a collegarle tutte. Ciò che era certo era che Snejder, il suo patetico, incorreggibile, insostituibile Snejder, aveva deciso di fare lo sgambetto a lui, Steven Blackfield, senza rendersi conto di andare incontro a morte certa. Ursus, data la sua stazza, non poteva essere minacciato con la pistola. Di sicuro era riuscito a voltarsi di scatto e, sfruttando l’elemento sorpresa, a bloccare con la sua forte presa la mano che teneva la pistola, facendola sparare in maniera inoffensiva, mentre con l’altra afferrava il pugnale dalla tasca e conficcandolo nel cuore del leggendario vice capitano.

“Adesso che è morto Thomas, dobbiamo dargli degna sepoltura” commentò Blackfield, non volendo aggiungere altro. Se ne occuparono gli altri, che, allontanandosi, lo adagiarono in una barella e andarono verso il porto. I pirati non venivano seppelliti. Al mare erano stati consacrati e al mare ritornavano, che li avrebbe accolti facendoli riposare dolcemente.

Blackfield non partecipò alla cerimonia, ma sentì dire che quella processione ebbe l’effetto di placare gli animi esagitati, evitando uno scontro a fuoco che non sarebbe servito a nessuno. Non a lui, di sicuro. Preferì vedere, esattamente come nel Nonmondo, Thomas Snejder da lontano, distaccandosi dai suoi bisogni.

Ed era il suo migliore amico. Steven sentì sanguinargli l’anima, ma la zittì dicendosi che era un sacrificio necessario e che Thomas avrebbe capito.

“Devo parlare al popolo” disse Steven, rivolto a un altro funzionario assente alla cerimonia funebre, visto che Ursus voleva e doveva presenziare. Si trovavano in cima a un colle, dal quale si poteva vedere anche il porto, ed effettivamente la salma di Thomas fu traslata sulla Black Sheep, la quale partì raggiungendo la rada e, una volta giunta sul fondo, si liberò del cadavere gettandolo nel mare profondo. Il tutto mentre pioveva.

“Signore” disse il funzionario, che Blackfield non riconobbe come uno della sua ciurma “Adesso che siamo costernati e confusi, ci vorrebbe davvero un vostro discorso”

“Dobbiamo prendere le armi e radunare l’esercito più grande che si sia mai visto, e attaccare Tutuk Naga con tutte le navi da guerra disponibili” annunciò Blackfield. “Credete che sia una cosa possibile da fare, coinvolgendo le altre Sorelle di questo arcipelago?”

Il funzionario rispose “Sì, occorrerebbero circa due settimane”

“Perfetto, non pensavo foste così celeri” disse il pirata. “Il piano prevedeva di farmi perdonare da Thomas, dimostrandogli che ho sempre avuto ragione, e la perdita del suo braccio non sarebbe stata vana e inutile. Adesso, dovrò attaccare il paese di Taddeus Ravenwood a maggior ragione. La vittoria che conseguiremo sarà un tributo alla sua memoria. Organizzate tutto per il grande comizio, l’epica chiamata alle armi delle Sette Sorelle, che solcheranno il mare ed entreranno nel Golfo di Bocca del Drago!”

“Signore! Signore!”

Un paggio aveva corso fra il fango della collina e adesso aveva il fiatone.

“Ho un messaggio da parte di Azugra!”

Intanto, al porto, Josephine aveva preso temporaneamente il comando del vascello, e lo condusse, in compagnia della sorella e di pochi pirati fra i più alti in grado, verso il mare aperto.

Josephine non aveva proprio visto Steven Blackfield. Le sembrava strano che fosse l’unica a essere certa della colpevolezza di Ursus nell’omicidio del vice capitano. Thomas lo teneva in ostaggio per ricattare Blackfield, pertanto quest’ultimo, una volta arrivato con la nave doveva essersi diretto all’edificio governativo, e una volta capito che qualcosa non andava doveva averlo spinto a compiere qualche sciocchezza, infine Thomas si era fatto sorprendere come un allocco.

Era andata sicuramente così, e non si trattava di avere il dono dell’onniscienza in mano.

In completo silenzio, la ragazza prese la barella di Thomas e, cercando di non piangere, lo gettò senza troppi riguardi in mare.

“Marta” disse alla sorella, mentre il diluvio continuava incessante. “Non ho mai odiato un uomo così tanto come Steven Blackfield.”

Josephine, nel fondo del suo cuore, sapeva di mentire a se stessa.

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