La tempesta infuriava e ormai la White Justice lambiva gli scogli a strapiombo dell’isola di Dainals, la quale non smetteva, coi suoi geyser, di emettere aria calda che, assieme ai venti freddi della tempesta, e la pioggia, e la furia del mare, rendevano incerta la battaglia. Inoltre, il Saint Jimmy, il brigantino dei pirati, era ormai incastrato sulla fiancata della goletta, e insieme, le due barche continuavano il loro lento e inesorabile naufragio.
Nel mentre che gli uomini di entrambe le fazioni continuavano a morire annegati o colpiti dalle armi da fuoco, sulla prua della nave del padre di Mary Eric Van Jeger, il Cacciatore, era in piedi e fiatoni mentre teneva sotto scacco Steven Blackfield, in ginocchio e disarmato, mentre si massaggiava il polso.
Tutto era accaduto in pochi istanti: era da un paio di minuti che i due duellanti erano in una fase di stallo e avevano anche smesso di scambiarsi fendenti, mentre tutto attorno a loro era un turbine di fuoco, acqua e vento. Per lunghissimi istanti, era come se stessero danzando un ballo che conoscevano solo loro. Erano entrambi consci che il legno sotto di loro non avrebbe retto ancora a lungo e si preparavano dunque a tuffarsi in mare, e rimandare lo scontro in una posizione migliore.
Per quel motivo, il ponte instabile era assieme un vantaggio e uno svantaggio, e chi lo avrebbe usato per sé sarebbe stato automaticamente più furbo dell’altro, o più veloce.
Blackfield teneva la sua spada con due mani. Era molto nervoso e agitato, e sentire la pioggia che picchiava violenta sulla sua pelle, ormai priva della camicia, non lo aiutava. Non vedeva più neanche Josephine, che aveva finora combattuto accanto a loro. Forse aveva avuto uno strano presentimento ed era andata alle grotte, ma così facendo avrebbe rivelato a tutti dove si trovava il tesoro.
D’altro canto, Eric invece si leccava continuamente le labbra. Era tranquillo e lo stava studiando dalla testa ai piedi. Steven chiuse gli occhi, doveva assolutamente chiudere quella storia prima che le navi affondassero. Dietro di lui, si continuava a sparare ed era scoppiato anche un altro incendio nei paraggi.
“Va bene, a noi due!” esclamò il pirata, che avanzò verso il Cacciatore. Era pronto a disarmarlo, ma Eric fece uno strano cerchio con la sua spada, fendendo l’aria e Steven, che non se l’aspettava, fu disarmato con la mano libera.
Da quel momento, era stato messo in ginocchio.
“In nome del Re Taddeus Ravenwood, Sovrano di Bocca del Drago, ti condanno a morte” disse asciutto Eric. Anche lui, d’altro canto, non avrebbe avuto pietà e non vedeva l’ora di terminare quella guerra.
“Le tue ultime parole?” chiese il Cacciatore. Steven non ebbe idea di cosa dire, e gettò uno sguardo alla sua sinistra. Ursus cadeva sotto i colpi di Frank Copperfield. Un pescatore, un maledetto pescatore uccideva il grande e grosso signore di Ticat.
Era davvero finita. D’altra parte anche lui aveva battuto il potentissimo esercito navale del Re Ammiraglio.
Improvvisamente, tuttavia, proprio quando Steven stava per dire qualcosa che avrebbe ferito per sempre il Cacciatore, la nave andò a squarciarsi sopra uno scoglio in sporgenza dell’isola di Dainalas, distruggendola definitivamente. Steven ne approfittò per alzarsi di scatto e gettarsi fra le onde, nonostante il mare impraticabile, nonostante i muscoli tesi che non lo avrebbero aiutato molto.
Eric, invece, scivolò di malagrazia dal ponte verso il mare, aggrappandosi su uno degli assi che si erano staccati dalla nave, che ormai naufragava silenziosamente. Non aveva più idea di dove fossero gli altri compagni, sperò che stessero bene. Anche il brigantino dei pirati era ormai perpendicolare al mare, e cominciava una lenta discesa mentre le onde lo ricoprivano di spuma bianca.
Si sentì un tuono molto forte. Tutti attorno a lui erano nuotatori provetti e cercavano di salvarsi aggrappandosi alle rocce, mentre i pirati si dirigevano verso est, dove forse vi era un modo per salvarsi. Lui, invece, non saliva su una nave da dieci anni e in generale non aveva mai avuto occasione di nuotare. Gli rimase una sola cosa da fare.
Con ciò che rimaneva a galla della goletta, il Cacciatore salì su un relitto e prese un asse di legno, che avrebbe dovuto fungere da remo.
Il sistema funzionò, nonostante il mare cercasse sempre di spingerlo verso lo strapiombo di roccia lavica.
Una remata dopo l’altra, seguì con lo sguardo i pirati che si stavano dirigendo tutti nello stesso punto. Fra loro c’era sicuramente Blackfield.
Dal canto suo, Steven stava nuotando senza posa sfidando le onde. Non era la prima volta che si trovava in quella situazione: in tanti anni di brigantaggio aveva affrontato decine di tempeste, e più di una volta era finito in mare. Ricordava che Thomas lo prendeva puntualmente in giro.
“Siamo comandati da un pirata che non sa stare in piedi! Ma finiamola!”
Il fatto era che poi beveva alla sua salute. Thomas Snejder… era stato un amico, un alleato.
Un fratello.
E lui lo aveva abbandonato senza guardarlo negli occhi, senza tenerlo fra le braccia, senza salutarlo al suo funerale.
Per poco, Steven non pensò di lasciarsi annegare.
È tutta colpa del Cacciatore.
Una voce dentro di lui, gli impedì di fermarsi con le bracciate.
Se non ci fosse stato lui, se fosse rimasto al di là delle montagne, saremmo ancora tutti vivi e Josephine mi avrebbe detto che aspetta un figlio da me.
Perché lui lo sapeva. Josephine aveva detto di essere stanca, qualche ora prima, anche se non aveva fatto molto. Inoltre, non lo era mai stata.
Infine, il suo viaggio nonostante le correnti che lo portavano in alto mare ebbe termine. Steven si rese conto di poter toccare terra e alla fine giunse a riva, gli occhi posati sulla piccola spiaggia nera coperta da una grande grotta, là dove c’era il suo tesoro da difendere. Sentiva già alcuni spari, probabilmente i suoi avevano dovuto fare ricorso all’arsenale per tenere lontano i marinai del Cacciatore che, seppur in inferiorità numerica, stavano dando battaglia.
Non aveva più la spada e la pistola era divenuta inutilizzabile. La gettò per terra. Deglutì e urlò, scaricando la propria ira e al tempo stesso segnalando la sua presenza. Avrebbe combattuto con le sue nude mani, poi prese a correre e, seguito da altri pirati che erano appena giunti assieme a lui, guidò dunque una piccola carica, accompagnato anche dai tuoni e le saette che ancora imperversavano sul mare.
Sotto di lui, saltavano piccoli sassolini e l’odore di zolfo si faceva sempre più presente.
Svoltò a sinistra e infine la vide, dopo tanto tempo.
Una grande sala, dove sul soffitto vi erano stalattiti che gocciolavano umide sulle loro teste, e in fondo un’enorme carica di tesori, monete, corone, stoffe all’interno di scrigni preziosissimi, il tutto protetto da un cubo di vetro, in modo da evitare che potessero arrugginire. Tutt’attorno, cadaveri di tanti compagni morti.
Non ne poteva più. Con la sola forza delle sue mani, uccise uno, due, tre marinai del Re, che in teoria avrebbero dovuto aiutarlo a sabotare i progetti del Cacciatore, ma che in realtà gli aveva fatto perdere un sacco di covi nascosti e la posizione predominante sulle condizioni del Re Taddeus.
Poi vide Josephine, la quale stava combattendo nonostante il braccio fasciato.
“Chi ti ha medicato?” chiese, avvicinandosi a lei e accarezzandole le spalle.
“Nick… Nick il medico sta curando tutti, amici e nemici” la ragazza indicò un piccolo angolo dove venivano curati tutti i bisognosi. Steven era sgomento nel vedere come quel ragazzo, che aveva preso una decisione coraggiosa nel Nonmondo, non tradiva se stesso e faceva avanti e indietro, coi mezzi che aveva, per aiutare tutti indiscriminatamente.
“È forse questa la verità della vita?” sussurrò. “In realtà, siamo tutti sotto lo stesso cielo, e non importa se siamo in guerra?”
“No!” esclamò Josephine. “Ricorda che è stato il Cacciatore a uccidere Thomas!”
“Già…” disse Steven, osservando proprio Eric Van Jeger, che si stava sfilando il mantello per poi scrocchiarsi le dita. Anche lui era pronto per un combattimento con le nude mani.
“Tu occupati di Mary, concludi il tuo scontro” le disse. “Io vado ad uccidere”
Nel frattempo, Sigfrido e Desdemona erano riusciti in qualche modo a salvarsi. Appena prima che il brigantino si scontrasse con la White Justice, il ragazzo afferrò sua sorella e volarono insieme sulla terraferma. Osservarono dunque tutto lo scontro da quella posizione e a un certo punto sentirono freddo.
“Dobbiamo aiutare Eric!” esclamò Desdemona. “Steven Blackfield va punito per tutto quello che ha fatto!”
“Sì, ma come? Non sono riuscito nemmeno a utilizzare il loro linguaggio!” si lamentò frustrato Sigfrido. “Possiamo usare le nostre arti magiche, però. Dovremmo mettere paura ai pirati, e cos’è che fa loro più paura?”
Desdemona si isolò per concentrarsi. Nonostante il freddo pungente, aveva bisogno di tutta la sua mente per poter leggere nel pensiero dei suoi avversari.
“Non ce la faccio” disse infine. “C’è troppo freddo”
“Andiamo a perlustrare la zona, magari ci ripariamo” disse Sigfrido.
In quel modo, scoprirono anche loro la conca che dava dentro la galleria e, andando avanti, videro che lentamente il paesaggio cambiava.
Il terreno, invece di essere verde, diventava di un blu acceso e veniva calpestato da intere mandrie di mucche altrettanto blu.
“Chissà come mai a Steven Blackfield è piaciuto questo posto” disse Sigfrido. “Comunque, qui non ci sono posti che riscaldano… eh?”
I due videro una piccola fattoria. Corsero subito alla porta e bussarono, presentandosi come due piccoli orfanelli.
Venne loro aperto da un fattore, che li riscaldò e offrì loro del latte.
“Da dove venite?” chiese la moglie del fattore, mentre il marito, burbero, tornava ai campi.
Desdemona optò per la verità. “Siamo compagni del Cacciatore, dobbiamo catturare Steven Blackfield”
“Blackfield?” chiese la donna. “è un ladro, ruba tutto il formaggio e non capisco cosa se ne faccia. Vi prego, uccidete quei pirati!”
Sigfrido non rispose subito, perché era ovvio che fossero lì per uccidere i pirati, dunque si concentrò sul latte caldo e ignorò sulle prime l’invettiva della signora.
Lo bevve e improvvisamente si sentì non solo riscaldato, ma forte e potente. Quel liquido blu era un prodotto mai visto e prodigioso, e guardò a tutt’occhi anche sua sorella, la quale era altrettanto sconvolta.
“Scusateci, signora, ma purtroppo dobbiamo andare” disse Sigfrido frettolosamente. Aveva come la sensazione di avere in testa una voce che gli suggeriva di essere invincibile e pronto a togliere la vita.
“Infatti” concordò lei. “Ma prima, prendete questa scorta di biscotti al latte. L’ho fatta con le mie mani”
Diede loro una scatola di latta in cui all’interno vi era una buona scorta di gallette.
“Abbiamo vinto la guerra” sussurrò Sigfrido. “Grazie per l’ospitalità”
Anche fuori dalla fattoria il tempo stava calmandosi.