Mi sveglio, anche se ho un brutto presentimento. Sarà una di quelle giornate un po’ difficili in cui tutto può capitare. Ad esempio, potrei alzarmi col piede sbagliato.
Ma è a lei che penso. Chissà a che ora si alza?
Il caffè oggi è troppo amaro.
Sarà che piove. Devo avviarmi all’auto, o farò tardi al lavoro.
E penso.
Penso a te.
Ai tuoi capelli, che quando fai la treccia vuol dire che fra poco li laverai, anche se effettivamente stai meglio, così.
Non riesco a dirtelo, quando mi sei vicino la mia lingua si ferma, e anzi, mi tengo a distanza di sicurezza. Avvio l’auto.
Becco una, due pozzanghere.
Il cielo piange. Chissà a cosa pensa, magari anche lui avrà quel tipo di paturnie, o, vedendoci affannare per nessun motivo, si rattrista anche lui.
I genitori coi bambini tagliano la strada, pur piena di pozzanghere, per non fare tardi a scuola. E mi ricordo.
Io ho fatto tardi? Ho fatto tardi quando ti ho parlata, per quell’unica volta che l’ho fatto? Ti ho consigliato un libro, non so se l’hai mai letto.
E allora svolto, cerco parcheggio, non lo trovo. Altri lo hanno trovato prima di me, arrivando puntuali, facendo le cose in modo che possano colpirti.
Scendo dalla macchina. Ho dimenticato l’ombrello.
Non importa, tanto mi sarei bagnato lo stesso, c’è vento, e il freddo punge.
Sospiro, mentre mi sembra di scorgerti, fra i tanti individui del marciapiede, mano nella mano con qualcuno, qualcuno che non sono io. Magari è una che ti somiglia, anche se siete troppo, troppo simili.
Vado in ufficio senza salutare nessuno, non rispondendo a quelli che mi chiedono di fermarmi per il caffè della macchinetta.
Scuoto la testa.
Il caffè era troppo amaro, oggi.