“Florence! Che ci fai qui?” chiese inebetito Gerald. Non avrebbe mai immaginato un secondo incontro con quella ragazza.
Anche lei fu molto colpita e squadrò sia l’uomo che gli altri due accompagnatori. La porta venne richiusa subito dopo, mentre i soldati prendevano posto attorno alla prigione mobile di legno. “Sono… svenuta” spiegò. “Loro chi sono? Che ne è del bambino?”
“Credono che io l’abbia rapito e quindi probabilmente sarà consegnato a un orfanotrofio” considerò Gerald. Edward, che ascoltò, pensò che ad Ontaria non avessero luoghi del genere e dunque non aveva idea a cosa si riferisse.
“Io, invece, ho scoperto una cosa che probabilmente farà tremare la terra” disse Florence. “è stato un bene che costoro mi abbiano trovato, cosicché io possa denunciare un pericolo”
“Che genere di pericolo?” chiese Edward, incuriosito.
Florence si guardò a destra e a sinistra, ma nessun soldato era entrato con loro, dunque sperò che i muri di legno potessero tenere a bada orecchie indiscrete. Da quando aveva visto quella scena, non si fidava più di nessuno e aveva accettato volentieri la cattura in modo da restare il meno possibile in presenza di estranei, anche se qualche pazzo poteva anche essersi infiltrato nell’esercito.
“Un mago sta creando strani animali con la magia” rivelò tutto d’un fiato. Con sua grande sorpresa, nessuno dei tre si stupì più di tanto, anzi, dai loro sguardi sembrava che desiderassero maggiori dettagli.
“Sei sicura di quel che hai visto?” chiese Edward.
“Sì… almeno credo” rispose lei. “Ero entrata nella grotta, quando di spalle vi era un uomo che, rannicchiato, stava armeggiando con molti cadaveri. C’erano un sacco di carcasse e la puzza era orrenda. Non faceva altro che… rantolare e lui continuava a dire che esiste, esiste… ma non ho capito cosa dovesse esistere”
Più parlava, più Florence si rendeva conto che le sue parole erano molto poco convincenti. Nessuno dei suoi interlocutori parlò, soppesando quel che stavano ascoltando, mentre il gabbiotto continuava a sobbalzare a causa degli scossoni.
“Non so se crederti” confessò Edward. “Tuttavia, quel di cui siamo testimoni mi spinge a farlo.”
“Di cosa siete testimoni?” chiese la ragazza.
“Conosci già Mond. Ecco, non è soltanto un ragazzino con la pelle molto pallida. Si è dimostrato di una forza inaspettata. Usa anche lui la magia e, quando abbiamo incontrato il Regno Invisibile, li ha semplicemente spostati creando una potente massa d’aria che è riuscita a creare delle crepe sui muri e sulla terra”
Le parole di Gerald sembravano assurde. Sembrava semplicemente un bambino, quando lo aveva visto. Avrebbe barattato qualsiasi cosa pur di avere avuto, nel frangente in cui l’avevano rapita, quel potere. Nelle ultime ore aveva avuto paura, poi rabbia, era caduta nel panico e adesso il clima era semplicemente di attesa.
Passò la notte, mentre Mond ancora piangeva. La lacrime argentee che scivolavano sulle sue guance rimasero ignorante fintantoché non si scoprì che avevano poteri curativi. Il soldato, sir Erik, scoprì le sue mani prive di graffi, e una sensazione di benessere, che nulla aveva a che fare con la situazione che stava vivendo.
“Ti chiamano Mond, non è vero?” chiese Erik. Decise di parlare con lui, di conoscerlo, per poi rivenderlo.
“Il mio nome mi è stato donato da Gerald, l’uomo più grosso che avete catturato” spiegò il figlio della Luna. “Sono il principe ereditario di un grande regno, regno che sta lentamente sparendo dal cielo”
Erik non capì cosa volesse dire, ma gli bastò sapere che fosse un principe. Mond, invece, osservava la luna sparire e ne ebbe paura. Qualche giorno prima era nella sua interezza, invece, quella sera, ne mancava una parte.
E passò la notte, e anche il giorno seguente, venendo sempre sorvegliati a stretto giro. Il viaggio verso la città di Rockaforth passò attraverso grandi latifondi e fiumi.
Florence e i tre compagni ebbero modo di parlare ancora, e a un certo punto i discorsi affacciavano su Ashengard.
“Così tu non sei di queste terre, ma di Ontaria?” chiese Florence a sir Edward, alla quale fu concesso di lavarsi, pur essendo vista da un arciere. “Com’è stato Ashengard? Qui ne hanno sempre parlato come una battaglia piena di eroi valorosi”
“Non c’è stato nessun valoroso” rispose lui. “Solo spade e sangue. Solo quello. Ho sangue nelle mie mani, nella testa e negli occhi. La mia spada, quella che mi è stata sequestrata, mi rammenta cosa ho compiuto e il pegno che sto pagando per averlo fatto.”
Florence fu colpita da quell’affermazione. “Eppure… eppure ero convinta che la guerra riguardasse la libertà di quel popolo dal dominio di Ontaria stessa”
“Era il loro ideale, non il nostro. Noi uccidevamo, e anch’io lo facevo”
Florence pensò a suo padre, partito per Ashengard. Lo aveva sempre considerato un eroe, ma non sapeva nemmeno se fosse vivo, o, se vivo, era diventato così malinconico?
“In ogni caso dovremmo essere quasi arrivati” annunciò sir Erik, giunto a controllare che i prigionieri non perdessero tempo. “Il lutto nazionale è ancora in corso, dovremmo poter partecipare al funerale di Re Elijah col nostro dono speciale, aver catturato pericolosi briganti assassini dell’esercito”
“Il funerale del Re…” ripeté Mond. “Nessuno mi ha mai narrato com’è stato il funerale di mio padre, il Re della Luna, il nostro Endymion”
“Ancora con questa storia del regno lunare?” chiese sprezzando sir Erik. “Non avevi forse detto che nessuno usava nomi?”
“Endymion è il nome del Re” affermò Mond. “Non è un nome proprio, perché erede del primo Re, fondatore della Luna e sposo di Selenia”
“Trova sempre una motivazione…” pensò fra sé sir Erik. “E se fosse davvero un figlio della Luna? Ce ne sono altri come lui?”
“In ogni caso” proseguì Mond “Non vedo l’ora di conoscere il palazzo reale di queste terre, che gentilmente mi ospitano. Sono giorni che andiamo a cavallo e ci cibiamo sempre meno, non sopporto più questa povertà forzata.”
“Per fortuna Mond sta benissimo” disse Gerald, parlando da solo. Era l’unico a non essere sceso dal gabbiotto.
“Inoltre, mi preoccupa alquanto la mia gente. Perché la luna sta perdendo pezzi, arrivando ormai quasi a metà? È forse sotto attacco?”
“Si chiama Luna calante, ragazzino” osservò uno dei soldati al servizio di sir Erik. “è solo una delle quattro fasi lunari. Fra qualche giorno sarà luna nuova e poi potrà ricrescere”
Mond guardò quel soldato come se fosse pazzo. “Non mi direte che da questa parte del cielo la Luna si comporta come questo mondo?”
“Sì. Noi ci chiamiamo Terra” rispose l’altro. “E immagino che dalla Luna, come dici tu, anche la Terra abbia le sue fasi, perché tutto dipende dal sole. Per non parlare poi delle eclissi. Alcuni ritengono che siano eventi magici, ma molti studiosi dell’universo ormai sono concordi nel dire che sono leggi naturali. La luna, cento anni fa, ha oscurato il sole per qualche minuto, e a intervalli regolari abbiamo avuto notti colorate da una luna rossa come il sangue”
Mond non credeva alle proprie orecchie. Pensava sempre più che la Luna fosse piuttosto sotto attacco e non vedeva l’ora di tornare a casa, per aiutare il proprio popolo.
Si mise a sedere accanto a Florence, nell’edificio che teneva chiusi i briganti e ordinò una partenza veloce.
Gli altri soldati si guardarono divertiti. Non avevano mai visto un bambino che recitava così bene la parte del principe. Fortunatamente aveva anche smesso di piovere, così il terreno era più solido. Arrivarono alla città di Rockhafort ed entrarono attraverso il ponte levatoio, che li proteggeva da un canale d’acqua abbastanza ampio. Mond si ricordò del lago di Senerbez e si disse di voler saperne di più, sull’acqua.
“Il viaggio è terminato” annunciò sir Erik. La cittadina sembrava tranquilla, le case ordinate non sembravano aver visto nessuna rivolta e i vicoli stretti ospitavano banchi di vendita di qualsiasi genere. A Mond piacque quel tumulto allegro e colorato, sembrava davvero un posto in cui vivere: gli ricordava le mattine sulla Luna, là dove la città dove vivevano tutti ospitava la gente che chiacchierava, amava, si incontrava e lavorava.
Percorsa la strada principale, si presentarono davanti un palazzo grigio dall’aria cupa. Era forte e robusto, con sbarre alla finestra. In cima alla porta era fissata una bandiera a strisce orizzontali bianche e rosse, sormontata da quello che secondo Mond avrebbe potuto essere lo stemma della casa del Conte Bournemoth, al momento al potere in quella provincia. Sir Erik si presentò e, facendo scendere tutti, li condusse personalmente a lord Enwick, uno dei vassalli della Contea, che era una provincia molto grande. Quest’ultimo li accolse dopo quella che parve un’ora, dall’aria stravolta, quasi disperata.
“Aiutatemi, voi uomini, e vi concederò la grazia” disse. “Ve lo chiedo come un uomo”