Thomas, sir Edward e Gerald attendevano assieme a lord Enwick in uno spazio fuori dal portone più vicino alla zona sud est, dove, secondo l’informazione ricevuta dal signore locale, sarebbero arrivati i ribelli del Regno Invisibile.
“Tu sei di Ontaria, dunque” esordì il lord, rivolto al cavaliere reietto. “Ho riconosciuto la spada. Sei un traditore, ma stai combattendo per me, quindi la grazia si estenderà anche sulla tua testa”
“Vi ringrazio, sire” disse atono Edward.
“Mi hanno informato di tutte le disposizioni del piccolo principe” rivelò lord Enwick, molto più a suo agio vestito da cavaliere che da politico, almeno nei pensieri di Gerald. “Non ho ben capito perché abbia insistito tanto nell’avere un drappello di uomini per ogni porta… forse teme che ci circondino? Che possano abbattere le saracinesche, anche se abbiamo il fossato con i pesci carnivori?”
“Avete forse fatto male nell’affidare la difesa di una città a un ragazzino” osservò Thomas.
“Forse sì, forse no” rispose Enwick. “Io, comunque, non avrei usato così le catapulte e non avrei messo le mine sottoterra, sapendo di contare su delle mura molto spesse e cosparse di olio, senza contare il fossato.”
Lord Enwick era molto pensieroso. Aveva preso una decisione impopolare, che avrebbe fatto discutere moltissime persone per lunghe settimane. In realtà, quel ragazzino lo incuriosiva, più di quanto si sarebbe aspettato. Aveva visto nei suoi occhi qualcosa di diverso del solito trovatello che si divertiva a fare il buffone. Gli improperi che gli aveva inveito li pensava per davvero, e non erano dettati dall’ignoranza, ne era sicuro. C’era la possibilità che fosse davvero un principe… anche se della Luna. Lo confermava la sua pelle di alabastro.
Era per quel motivo che diede le chiavi della città al ragazzino. Inoltre, se avesse avuto ancora suo figlio, sarebbe stato della sua stessa età. Maledetta febbre… i contagi non si contavano. Sospirò: era a lui e alla sua amata che andavano quotidianamente i suoi lamenti. Era giunto il momento di vedere in che modo li avrebbe raggiunti.
Ciò non avrebbe significato, probabilmente, consegnare un’intera città in mano a un ragazzino, ma dentro di lui sentiva qualcosa che gli diceva che forse ciò che affermava era vero, contro tutte le possibilità, contro tutto ciò che di marcio vi era in quel mondo, contro tutti coloro che dicevano che la vita si fermava a ciò che vedevano e sentivano.
Lui non la vedeva così. C’era della vita dopo la morte, e se vi era, di conseguenza potevano esistere persone anche fuori dal mondo in cui si trovavano. Il ragazzino chiamato Mond poteva davvero essere un principe.
E fu con quella nuova consapevolezza che salutò la mezzaluna quella sera, e fu solo allora che si videro gli invasori.
“Arrivano! Arrivano!” esclamarono le vedette, che per dare l’allarme suonarono un lungo corno.
Nel frattempo Mond aveva passato la giornata domandando e rispondendo a una lunga sfilza di domande, che andavano dall’organizzazione delle provviste fino ai problemi comuni. Il ragazzino si abituò ben presto ad avere sempre due o tre consiglieri attorno a lui, e concentratissimo rispondeva a tutto, senza però sapere se correttamente o meno.
Quel pomeriggio era anche prevista una sessione di udienza, e venne un uomo che gli chiese il permesso di ampliare il proprio campo. Mond glielo concesse, senza però sapere che così facendo aveva sottratto alcune proprietà dei suoi vicini, che dunque vennero presto a protestare. La controversia si protrasse per diverse ore e alla fine Mond decise di ridisegnare da capo quell’area dividendola in tre parti uguali, come gli fu suggerito.
“Nel frattempo” aggiunse, massaggiandosi le tempie in un dolore che non aveva mai provato “ampliate il fossato d’acqua e sotterrate le mine, che verranno acese col fuoco.
Fecero appena in tempo a eseguire il comando quando il suono di un corno echeggiò per la cittadella. Mond si impaurì e chiese “Che succede?”
“Arrivano gli invasori! Date il comando di organizzare la difesa!” esclamò un consigliere. Mond, tuttavia, disse “Datemi un’armatura e un a spada, chiamerò a raccolta gli uomini che ho scelto e farò loro un discorso”
Gli venne data una daga e alcuni pezzi di metallo da inserire sulle parti più deboli del corpo, poi venne condotto alla porta sud est, in modo che potesse parlare.
Mond vide i numerosi occhi che attendevano qualche sua parola, un discorso motivazionale, ma il ragazzo aveva in testa solo ciò che il precettore gli aveva comunicato, quel giorno in cui gli ebbe suggerito l’importanza di emettere un discorso per trasmettere fiducia. Non aveva detto, tuttavia, quali parole usare e con che tonalità. O, se l’aveva detto, non aveva sentito.
“Arrivano, sire” sussurrò una vedetta. “Se non volete dire nulla, va bene così. Nessuno si aspetta da voi chissà quale discorso”
Mond prese a tremare nervoso. Sapeva che dietro di lui avanzavano dei nemici, non sapeva quanti. Alzò semplicemente la piccola daga che gli venne offerta, e con sua sorpresa, anche i soldati sotto le mura la alzarono, lasciandosi andare in un boato di approvazione.
Mond sorrise. La luce della mezzaluna gli illuminava il volto, ricordandogli di chi fosse figlio. Si voltò e vide centinaia di torce che cominciavano a ingrandirsi e definirsi. Non sentiva più alcuna paura: gli erta bastato alzare il braccio destro e si sentì come se avesse sempre fatto quel genere di cose. Sapeva che perfino Lord Enwick rimase colpito da quel movimento. A un certo punto, le vedette accanto a lui videro i suoi occhi brillare, al punto che quasi non si riuscì più a sostenere il suo sguardo. Era come trasfigurato, e con voce fonda e autoritaria, comandò che venisse dato al fuoco ciò che avevano costruito durante il giorno.
Nessuno, tuttavia, attuò fisicamente quel comando, perché, come per magia, le mine sotterranee che con tanta solerzia i servi di Lord Enwick avevano seppellito presero fuoco improvvisamente, senza alcuna miccia, scegliendo persino il momento migliore per esplodere, in modo da distruggere le prime file del nemico e quelle successive costrette alla cecità. Le vedette furono le uniche a testimoniare per il giovane Mond, il quale aveva due occhi luminosi più di qualunque altra cosa che ebbero visto. Non riuscivano nemmeno a osservarlo.
“Chi… siete?” chiese un uomo.
I soldati del Regno Invisibile oltrepassarono la muraglia di fuoco e, con grande disappunto dei difensori, nuotarono attraverso il fossato d’acqua, mentre alcuni di loro portavano un grosso ariete.
“Stanno per arrivare! Tenetevi pronti!” esclamarono da sopra la muraglia. Essi stessi non capivano perché erano così veloci: sembrava che né il fuoco né l’acqua incutesse timore negli avversari, e il fatto di aver sterminato più di un centinaio di persone dell’avanguardia non avesse recato alcun effetto psicologico negli altri. Mond rimase invece immobile, senza alcuna reazione.
“Maledizione… non capisco cosa succede” disse lord Enwick. “E maledizione anche all’epidemia che ci ha tolto gli arcieri… non riesco a gestire nulla, e dire che sono un uomo del Re!”
La sua furia era diventata implacabile e, nel vedere che la porta stava per cedere, strinse il manico della spada fino a far sanguinare la mano.
“Non capisco come siano arrivati così facilmente alla porta… da lassù nessuno fa niente?” chiese Thomas.
“Non ci arrivano informazioni” disse Edward. “In ogni caso, nessuno si aspettava molto da Mond”
Infine, la porta venne abbattuta e un enorme ariete fece capolino in mezzo ai soldati. Mond, dall’alto della muraglia, comandò ai rinforzi delle altre porte di raggiungere il prima possibile l’ala sud est e la battaglia ebbe così inizio.
Ben presto, tuttavia, i soldati capirono con chi avevano a che fare.
I soldati che avevano appena varcato la porta non erano uomini. Né tantomeno umani.