Mond non aveva mai avuto molta esperienza con le sue coetanee. Avendo vissuto principalmente col precettore e con la Regina sua madre, entrambi avevano fatto in modo che avesse meno distrazioni possibile. Ogni tanto, tuttavia, capitava che Mond si distraesse guardando le figlie degli altri nobili, spingendo la Regina a suggerirgli che fosse ancora troppo presto per combinare un matrimonio.
Il figlio della Luna pensò però che in quel momento si trovava su un altro pianeta, e non sul regno lunare. Non era un principe, e per quanto strano fosse il pallore della sua pelle agli occhi degli altri, per il resto era un comunissimo bambino. Si trovava nella sua stanza in piena solitudine, e non riusciva a non pensare ai grandi occhi e ai folti riccioli di colei che si era definita cartografa. Mond immaginò che anche lei avesse un nome, sicuramente un nome molto bello.
Il nome… che bella invenzione, nata probabilmente agli albori del tempo! E sulla Luna non si usavano. Che vita triste, la loro, costretti ad appellarsi solamente alle abitudini e alle conformazioni fisiche!
Invece il nome poteva essere usato in una canzone, probabilmente una poesia, o anche degustandolo piano nelle notti più luminose, lassù sulle torri bianche ove viveva. Poteva urlarlo, bisbigliarlo, decantarlo e studiarlo nei minimi particolari. Si trattava solamente di qualche sillaba, non poteva far male a nessuno.
Alla gente della Luna era negato questo piacere, ciò che identifica l’essere vivente come tale. Gli alberi avevano un nome, ciascuno secondo la propria specie. Gli animali, la Luna stessa. Coloro che vi abitavano, invece, avevano definito quel dono come troppo restrittivo e preferirono non chiamarsi.
Mond decise dunque, guardando la luna, che una volta divenuto Re avrebbe incoraggiato all’uso del nome proprio di persona.
E fu con quel proposito che si coricò, contando l’indomani di approcciarsi alla ragazzina disegnatrice, in modo da chiederle come si chiamava. Chissà che nome sarebbe venuto fuori…
Il giorno dopo Thomas si alzò di buon’ora, pronto per una nuova giornata. Era sua abitudine alzarsi a quell’ora, perché riteneva che una giornata fosse principalmente la mattina. Inoltre, doveva ricordare alla ragazza il disegno.
Fu con quei propositi che scese in locanda, trovando Gerald discutere con l’oste. Entrambi erano molto preoccupati.
“Qualcosa non va?” chiese, e Gerald lo trafisse con uno sguardo pieno di astio.
“Ho… risolto. L’oste ha deciso di regalarci le cose da te rubate”
Thomas sospirò pazientemente. A Gerald non entrava in testa che era quello il motivo per cui vivevano. Rubare e truffare, perché nessuno regalava mai niente a nessun altro.
“C’è però una situazione più urgente, a parte la tua idiozia… Mond non si sveglia. Dorme, è vivo, gli ho anche messo l’indice sotto le narici… ma non si sveglia.”
Thomas sgranò gli occhi. Gerald proseguì “L’oste ha suggerito un infuso ma né io né lui ci siamo mai trovati davanti a questo fenomeno. E ne ho visti, dormiglioni, ma secondo me nemmeno il corno di Rockhafort potrebbe svegliare quel moccioso”
Thomas cercò nella sua mente ma non trovò niente da dire, né tantomeno soluzioni. Voltò le spalle a Gerald e salì a vedere. Si sentì vagamente stupido nel tornare indietro, visto che era appena sceso. Al quarto gradino, si chiese dove fosse sir Edward e un lieve sospetto di tradimento lo colse in flagrante. Dopotutto, era un cavaliere ufficialmente disperso, facente parte di un’altra fazione. Poteva essere realistico che tradisse ancora.
Arrivato alla stanza di Mond, era già stata aperta lasciando vedere il ragazzino dormire beatamente, sul letto messo proprio al lato opposto della finestra, in modo che il sole, che lentamente avanzava verso lo zenit, lasciasse i suoi raggi proprio sulla faccia del dormiente.
Thomas entrò, incerto su quello che avrebbe visto. Mond sembrò più bianco del solito. Dormiva della grossa, ma non russava. Respirava.
L’uomo sogghignò, poi scese di nuovo, si fece dare un secchio d’acqua, tornò da Mond e lo scaricò tutto addosso, incurante delle conseguenze.
Mond non reagì minimamente. Adesso era solo molto umido. Thomas si rese conto del problema solo in quel momento, così andò a cercare la ragazzina, per farsi disegnare la cartina, il che gli sembrava più produttivo.
Mentre Gerald rimase alla locanda, Thomas si diresse verso la piazza principale, che come al solito vedeva gente andare e venire, badando ai fatti propri. C’era vento, il che trascinava la polvere che si depositava sulle strade poco curate. L’argomento, in ogni caso, era la vittoria di Rockhafort contro quelli che ormai avevano preso il nome di Ibridi, che non rendeva minimamente l’idea di ciò che fossero state in realtà quelle creature.
Thomas lo ricordava anche troppo bene. Che ne sapevano quelli che lo stavano salutando come un eroe? Lui non lo era di certo. Era soltanto un uomo che ha cercato di portare a casa la pelle e ci era riuscito. Non aveva fatto niente di eroico, per niente. Non c’era stato niente di eroico nell’affondare la lama rubata a uno sconosciuto nella gola di quell’uomo lupo, che lo stava guardando supplichevole, più che maligno. Ed era forse eroico il tagliare il braccio all’inquietante uomo aquila, i cui arti non erano altro che artigli rubati al nobile animale?
Quale mente malata aveva voluto cucire quelle zampe in quel cadavere?
Thomas, il ladro e truffatore e tagliagole, che si intrufolava nelle case altrui solamente per rubare e dare fuoco e lo faceva solamente perché non riusciva a pensare ad altro né ad essere altro, era forse un eroe quando aveva visto gli uomini con un’oca accanto alla testa umana?
Aveva affrontato decine di mostri, camminato sopra cadaveri, respirato ogni tipo di sangue e sudore.
No, non era un eroe. Era un feroce assassino, niente di diverso da ciò che aveva mosso il Regno Invisibile ad approfittare dei morti per i loro scopi orridi.
“Tutti quanti… tutti quanti sono così pieni di merda” sussurrò.
Ed era merda quella che aveva respirato. Ogni giorno della sua vita.
“Grazie, grazie per aver salvato Rockafort! Avrebbero potuto minacciare anche noi ma siete riusciti a eliminarli tutti!” si sentì dire. Thomas decise di non ascoltare, e bussò alla casa che gli aveva indicato la ragazzina.
Gli venne aperto da quella che era forse la madre.
“Oh sì, so chi siete” disse lei. “Sir Edward mi ha parlato di voi. State viaggiando con lui e un certo Gerald, narrandomi delle strane vicende che vi hanno colpito, non è vero?”
Thomas era molto perplesso. Sir Edward che si metteva a raccontare tutti i fatti! Tanto valeva far partire tutti nel loro viaggio, no?
Entrò nella casa e l’ex cavaliere osservava la ragazza disegnatrice intenta nel lavoro per cui l’avevano assoldata. Una parte della mappa era già stata disegnata, ma Thomas non sapeva leggerla.
“Oh, buongiorno” salutò Edward. “Come vedi, Eloise si è già messa all’opera. Ha già disegnato l’ubicazione di questo villaggio e mi sta spiegando quali strade dobbiamo percorrere se vogliamo imboccare la via verso il sud”
“Sì” disse lei. “Farò in modo che non possiate perdervi. Ho saputo che avete anche un principe con voi… è vero?”
Thomas si mise due dita sul principio del naso e sospirò. “Edward, a proposito del principe… non so quanto sia voglioso di partire. Non si è svegliato, stamattina”
IL cavaliere reietto sgranò gli occhi. “È morto?”
“No” si affrettò a dire il ladro. “Non riusciamo a svegliarlo. A te è mai capitata una cosa del genere?”
“No…” disse vago Edwad. “Chiunque riesce a svegliarsi. Prima o poi lo farà anche lui”
Eloise nel frattempo continuò a disegnare, mentre Edward rifletteva su queste nuove realtà. Una ragazza stava aiutando, gratuitamente, tre uomini che non conosceva per salvare un bambino dalle presunte qualità magiche. Ma che adesso dormiva come il peggiore dei ghiri. Lui, invece, voleva capire in che modo il Regno Invisibile fosse riuscito a creare quegli Ibridi. Doveva chiedere a Florence, ma si era separata da loro. La conseguenza delle loro scelte, si disse, aveva portato a tenere il Figlio della Luna e lasciare una ragazza che poteva essere la chiave nella nuova guerra che si stava profilando, guerra che nessuno desiderava in quel momento, non durante il cambio di trono e l’epidemia che ancora imperversava.