La leggenda dei tre compagni e del figlio della luna/38

la leggenda dei tre compagni e del figlio della luna

Lord David, rimasto con Habraxan nel buio del loro covo, alzò lo sguardo dalle carte che stava riempiendo con le matite.

“Che succede?” chiese.

“No… non lo so” rispose Habraxan, tremando e cercando in tutti i modi di nascondere il suo corpo dentro il mantello troppo largo per lui. “È come se qualcuno fosse morto. Il che è ridicolo, no?”

“Perché dovrebbe essere ridicolo?” chiese saggiamente David. “Mio signore, c’è una guerra in atto. Ci chiamiamo Regno Invisibile per un motivo, perché siamo all’opposto delle linee governative attuali. Nel frattempo, lottiamo contro i Sotterranei. La situazione di questo regno non è delle più semplici. La gente può morire. Anche di febbre”

“Adesso non più, abbiamo l’Artiglio di Gatto” disse Habraxan. “Teodolinda sta già vendendolo al villaggio e un carico sta per partire verso Silvanus”

“È già partito” annunciò David. “Ma non è questo il punto. Non puoi pretendere che in una guerra non muoia nessuno.”

Habraxan tremò, lasciando che le sue pupille facessero il loro solito giro. “Sarà anche come dici tu, ma quando muore uno dei miei, dei nostri, io lo sento sulla pelle. Adesso lasciami capire chi è”

David tornò alle sue occupazioni, mentre il suo capo chiuse gli occhi e si strinse su se stesso, cercando dentro di sé e utilizzando tutti i suoi poteri per cercare chi fosse morto.

Cercò e cercò, in tutte le contrade da Nord a Sud, negli impervi territori dell’Est e nelle spiagge assolate dell’Ovest, fra i fiumi, i laghi e i boschi. Cercò fra gli animali, oppure fra le fronde, e nelle caverne buie e profonde. Là dove stalattiti e stalagmiti facevano a gara fra loro.

Vide anche falchi, aquile, camosci e stambecchi, correre o volare, mentre il sole sempiterno frustava le disperate terre, che sempre più aride rendevano molti feudi affamati. E altre guerre, altre morti, altri bambini che piangevano o mogli suicide.

Vide anche vasti prati rigogliosi, là dove aveva ripreso a piovere. Vide la capitale, dove Jezrael stava certamente cercando qualcuno e Acaz seguiva il re in tutti i suoi affari. Molto presto sarebbe giunto il Re di Ontaria e allora molte cose si sarebbero chiarite.

C’era Droword, e Alec ancora indagava. Si chiese che cosa stesse cercando in quella città, visto che era stato trattenuto così a lungo.

Il suo sguardo indugiò, successivamente, su Teodolinda, che, a miglia e miglia dalla capitale, vendeva la pianta che aveva scoperto, quella che abbassava la febbre che aveva ucciso troppe persone. Era bellissima quando vendeva, urlava e si accapigliava con la gente per una moneta in più o in meno. Ed era ancora più bella quando aizzava le folle per farle protestare in maniera pacifica.

Habraxan si riscosse, non era il momento di spiarla. Inoltre, avrebbe potuto mandarle un messaggio in un modo che gli altri suoi allievi non avrebbero mai potuto. Aveva detto loro che fra uomini e donne non era possibile il collegamento mentale, perché era geloso di quello che aveva con Teodolinda. Era un rapporto particolare, intenso, profondo, intimo, che toccava le corde le cuore e ne affondava le radici in profondità.

Continuò il suo viaggio. La mente si spostò su Ashengard, la terra maledetta. Tutto era stato reso sterile, raso al suolo, senza giungere a nessuna conclusione. La felice bandiera colorata della nuova nazione, che presentava due quadrati blu e rosso diagonali fra loro, sembrava ignare la desolazione tutt’attorno. Il re di Ashengard, mai riconosciuto, camminava su una sedia a ruote di legno, costruita solo per lui, lui che aveva dovuto rinunciare alla gamba destra per sempre. Aveva la faccia angosciata per i troppi cadaveri attorno.

Poi un lampo attraversò la sua immaginazione. Abbandonò le lande di Ashengard strozzate dal mare e dai fumi della guerra per giungere in una spianata verde che conosceva fin troppo bene.

Fu atterrito nel vedere cumuli e cumuli di ibridi a terra, inerti, neri come il carbone. Esalavano anche del denso fumo e Habraxan, pur essendo al sicuro seduto sul trono, poteva quasi esalarne l’odore, sicuramente tossico.

Alla testa di quello strano corteo, vi era il Vecchio Alexis.

Rinsecchito. Torturato e umiliato. La testa totalmente rimossa dal corpo e i suoi resti sparpagliati davanti a lui, mentre già formiche, mosche e vermi ne prendevano il nutrimento.

“Eccolo” disse. “è il Vecchio Alexis.”

David batté un pugno sul tavolo. “E il suo sogno? Non può finire così! Doveva realizzarlo!”

“L’ha realizzato” disse Habraxan. “Tuttavia, non ha avuto nessun effetto per il mondo. Adesso piangiamolo”

I due si concessero un minuto di silenzio, dove tanti pensieri li invasero e solo una risposta emergere.

“Devo vendicarlo. Non possono essere andati lontano, considerando il cadavere.”

Habraxan tornò fuori, fra i boschi e notò delle impronte di cavallo. Allora i suoi assassini erano a cavallo! Ma come avevano sconfitto gli Ibridi, lasciandoli in quel modo? E che razza di creatura era una che faceva esplodere le teste? Poteva davvero esser il ragazzino della Luna?

Habraxan allargò il suo campo visivo, gradualmente, partendo da quella zona macabra. Molti posti erano neri, perché non vi era mai stato. Il Lord pensò che sicuramente si trovavano in quei posti, là dove lui non poteva andare.

Ma doveva. Si alzò.

“Vecchio mio” esordì  “è il momento che Lord Habraxan scenda in campo. Sellami il cavallo”

David deglutì. Non lo aveva mai visto veramente in azione, evidentemente la morte del vecchio l’aveva davvero scosso. Si chiese cosa avrebbe provato se fosse morto lui. Lo avrebbe vendicato? E che poteri avrebbe tirato fuori?

Così si alzò e gli sellò il cavallo. Habraxan si trovò perfettamente a suo agio. Sembrava un leggendario cavaliere. Impennò e comandò il galoppo, allontanandosi in direzione di sud est.

David rimase dunque solo, a riflettere sul destino del Regno Invisibile. Il suo Re, invece, invece, manipolò il cavallo con un incantesimo per renderlo veloce e instancabile. Inoltre, comandò il vento affinché fosse a suo favore. In quel momento, tutta la natura avrebbe dovuto assistere alla sua vendetta.

Ne seguì il fiuto, uno strano olezzo che solo i Sotterranei sapevano mandare. Sotto il cielo celeste, sembrava che tutte le creature si scansassero e quelle che non lo facevano venivano massacrate dalla sua corsa.

Aveva già galoppato per diverse miglia e ancora il cavallo mangiava terreno, avanzando vorace godendo della sua corsa. E si fece pomeriggio, e si fece sera, col vento dietro di lui e il cavallo compiva mirabilie.

Fu solo a mattino inoltrato del giorno dopo che il lord decise di fermarsi per riposare, mentre aveva compiuto in una giornata almeno il triplo del percorso in condizioni normali.

“Sono qui vicino. La ricerca è finita” sibilò, come se il suo augurio di morte potesse essere trasportato dal vento. Accanto a lui un fiume che passava inesorabile. Habraxan lo guardò come se a un certo punto gli avrebbe portato i cadaveri dei suoi nemici.

Nemici che dunque avanzavano a spron battuto, non rispettando i cavalli e portandoli al massimo del loro limite. Avrebbero pagato anche per quell’affronto.

“Eccolo! Ve lo dicevo che l’avrei trovato!” stava esclamando uno di quegli escrementi, che sembrava il capo. Si era rivolto a un uomo volante che penzolava su di loro.

“Tu va’ avanti. Ci vedremo nel luogo del sangue” proseguì il capo all’uomo volante, che dunque chinò la testa e sfrecciò come se non avesse peso. Habraxan era inorridito. Come aveva fatto quell’uomo a mettere le mani su quei libri? Non sapeva, forse, che era proibito volare, o quantunque usare la magia?

Ne aveva sentito parlare. Gli era giunta voce che la biblioteca più vecchia della nazione fosse stata derubata di un intero scaffale, proprio il più importante, e che poi tutti gli abitanti del villaggio morirono, compresa una certa Edith, che a quel che pareva era proprio la responsabile di quell’ala dell’edificio. Non rimase pietra su pietra, e l’unico ricordo era un piccolo cimitero di quattordici persone, a quel che pareva selezionate, sotto un cipresso lontano dal luogo dove si trovavano in quel momento.

Habraxan, tuttavia, non ricordava come si chiamasse quel colpevole, soprannominato La Mano della Morte. Non era tuttavia lui il suo obiettivo ma le bestie a cavallo. Avrebbe indagato dopo su quegli orribili fatti di cronaca.

“Lord Habraxan! Che piacere” enfatizzò quell’immondo. Non aveva importanza come si chiamasse, stava per morire. “Sei venuto fuori infine, eh? Persino le lumache lasciano il loro guscio, di questi tempi. Cosa c’è, sei venuto ad… abbronzarti?”

Scatenò delle risa.

“Fatti vedere, su! Un raggio di sole non ha ucciso nessuno!” comandò, come se fosse possibile, come se lui fosse un suo pari.

Habraxan si armò di pazienza. Voleva i cavalli liberi. Non lo vide, ma sentì il suo nemico scendere e sguainare la spada.

“È ora di pranzo” stava ancora starnazzando. Era incredibile la gente che stava per morire quante cose avesse da dire. Lo sentiva sulla pelle e non vedeva l’ora di finirlo. “Noi Sotterranei mangiamo i cadaveri. Gli albini che sapore hanno? Siete insipidi, vero?”

Il signore del Regno invisibile guardò dritto negli occhi il suo nemico. Quest’ultimo indietreggiò. Ebbe paura del rosso delle iridi. Si avventò su di lui ma non riuscì a scalfirlo, come se avesse una cupola infrangibile attorno.  La spada finì per spezzarsi. Habraxan alzò il braccio e sibilò parole arcane, parole di morte. Un forte raggio luminoso trapassò il busto di Mothgom da parte a parte, scatenando le ire degli altri che lo attaccarono coi cavalli. Il lord parò una serie di colpi facendo scudi con la magia e spinse da cavallo tutti i suoi nemici con una serie di raggi luminosi rossi, dono degli occhi.

I cavalli fuggirono. Habraxan aveva vinto. I Sotterranei non potevano fargli nulla. Provarono a colpirlo con ciò che avevano ma più provavano, più sentivano dolore, e gli altri che attendevano il loro turno sentirono un forte dolore alla testa che poi cominciò a propagarsi in ogni singolo nervo. Sembrava che mille lame roventi stessero passando sulla loro pelle. Lui passava indifferente fra quei cadaveri ambulanti e, senza provare alcuna compassione fra le loro urla e alzò il braccio sinistro. Fiamme altissime e blu inglobarono il corpo dei suoi nemici, che si ridusse presto in cumuli di cenere, i quali altrettanto presto sparirono sospinti dal vento.

Aveva terminato i Sotterranei con serena facilità, ma ciò non gli aveva fatto provare alcun giovamento.

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