“Non c’è di che”
Fu quella la risposta che le fu data non appena lei ebbe ringraziato. Ci pensò su per diverse ore, anche mentre prendeva una bibita ai frutti di bosco pescata dal frigorifero. Di sicuro, quello era un elettrodomestico in cui c’era di che. Eccome.
“Qui è pieno di roba, non è molto adatto al che. Allora, che cosa può voler dire non c’è di che?”
Decise di interpellare suo fratello. Era un uomo che sapeva e aveva vissuto molte cose, solo che a differenza della sorella tendeva a nascondere quegli aneddoti nella sua memoria, senza condividerli ad anima viva. Forse faceva sedute spiritiche addirittura, nessuno aveva mai verificato di persona.
“Senti, tu” esordì “sai dirmi che cosa significa questa locuzione?”
Adalgisa fu costretta persino a scriverci su. Riuscì a trovare solo un biglietto d’auguri, ma l’effetto fu il medesimo.
Il ragazzo lesse dunque quel contenuto e guardò la sua interlocutrice con tanto di occhi, anche perché con le orecchie nessuno riusciva mai a vedere, né tantomeno col tatto. Inoltre, nessuno dei due figli di Sigismonda aveva un modo corretto di dire le cose, il galateo tra l’altro erano convinti che si mangiasse.
“Ebbene” cominciò a proferire lui, con tono sognante. “Devi sapere che tanto tempo fa…”
“No, aspetta un momento” lo interruppe lei. “Ho un dejà-vu. Mi ricordo di quel martedì in cui decisi di diventare un attaccapanni. Ti ricordi?”
“Non era stato proprio tre giorni fa?” domandò l’altro.
“Hai ragione. Sembrava di più. Comunque, accadde esattamente che mi misi con le braccia a forma di croce e la gente si permise di mettermi cappotti, giacche, cappelli, perfino borse. Alla fine l’acido lattico si fece sentire e io caddi in quanto avevo assolutamente bisogno di riposo. Non riuscii per molti dì a tenere gli arti superiori in alto. Figuriamoci in basso.”
“Che storia avvincente. Appunto non riesci tuttora a muoverle”
“Bingo”