Tra le tante cose che si potrebbero dire della mia famiglia, una cosa è sicuramente senza ombra di dubbi: non manca mai il giornale. Non so neanche chi lo compra, ma lo leggo. Forse è sempre lo stesso numero, quindi posso anche leggere robe di quindici anni fa, ma siccome le notizie sono sempre le stesse ed io non lo compro, lo leggo lo stesso. Mi salta all’occhio un fatto di cronaca:
“Cinese ucciso a coltellate: è giallo”
Alzo lo sguardo dal giornale e mi volto a destra e a sinistra. Qualcosa non quadra, e non è certamente il dipinto che ho appeso male ieri.
“Babbo! Come mai reciti la parte del maniaco in casa nostra?” chiede Ada, che sarebbe un po’ mia figlia, un po’ una ragazzina, un altro po’ una studentessa piena di compiti.
“Come mai? Ma chi sarai, forse ti spetta frutta e verdura?”
Ada fugge. Ridacchio, è un ottimo trucco.
“Oggi riso alla cantonese!” esclama un’altra voce. Mia moglie, Teodolinda, ha un senso dell’umorismo involontario.
“Hai un senso dell’umorismo involontario?” chiedo.
“Forse ti riferisci ai falli? Eh? È così, Alberico?” Fa anche l’offesa.
È vero, mi chiamo Alberico. Torno all’articolo. Non posso mangiare un primo piatto senza aver finito ciò che facevo prima.
Qui si dice solamente che si è trattato di un regolamento di conti. Mi ricordo di quando Ada, da piccola, usava i regoli. I quadratini valevano uno, c’erano anche barrette che valevano dieci. Io e lei costruivamo un sacco di città. Nessuno di noi ha mai vinto a Tetris.
“Caro, mi passi il sale? Eh? Eh?”
Il sale. Ecco il trucco. Un cucchiaio aleggia a mezz’aria davanti a me, pieno degli ingredienti del risotto alla cantonese.
“Canton o Canton Ticino?” chiedo a mia figlia, la quale sta già facendo il bis.
“Bello avere un padre filosofo” risponde. Democratica.