Trappola

Giangiovanni e Augusto camminavano con i loro cavalli, quindi si può dire che trottavano in mezzo a un sentiero, in una giornata mite di pieno autunno. A loro piaceva sentire gli zoccoli dei cavalli sulle foglie secche, e molti insetti cominciavano a ritirarsi, per cui era anche piacevole sentire quella brezza fresca che non dava tanto fastidio.
A un certo punto, un tizio correva verso di loro. Aveva in mano una pergamena.
“Uh? Conte, aspettavate missive?” chiese Augusto a Giangiovanni.
“Assolutamente no, Marchese” rispose l’altro. Non capisco perché se io li ho chiamati col nome di battesimo loro devono usare altri nomi. E diamine, personaggi, fate un po’ come dico, no?
Il messaggero cadde.
Nel senso che c’era una specie di buco nascosto nel sentiero e lui ci cadde con tutte le scarpe.
I due nobili alzarono le spalle.
“Potete aiutarmi, per favore?” chiese lo sventurato.
“La buca era una trappola per noi due?” chiese Augusto.
“E che ne so!” esclamò il tizio, ormai sporco di terriccio e foglie secche. “So solo che devo consegnare questa missiva al padrone di questo feudo!”
“Facile a dirsi, ma non a farsi” ridacchiò Giangiovanni. “Chi vuole vergare parole, al giorno d’oggi?”
“Ora che lo noto meglio, voi potete bene aiutarvi da voi stesso, messere” aggiunse Augusto. “la buca non è più alta di un uomo adulto”
In effetti il messaggero era visibile. Si rialzò e la buca era effettivamente alta più o meno quanto la sua fronte.
“E tuttavia richiedo il vostro aiuto, cosicché io possa tornare ai miei affari”
“Oh no, io non posso scendere da cavallo. Mi fa malissimo il… avete capito” disse Augusto.
“Ho capito, ho capito” disse Giangiovanni. “Ti aiuteremo, a patto che tu ci faccia leggere ciò che l’ignoto mittente ha scritto al padrone di codesto feudo”
Si misero d’accordo e infine il sigillo venne violato.
“Scemo chi legge” lessero i due patrizi. Il messaggero arrossì di vergogna.
“Dev’essere certamente quel buontempone di Lord Ferdinando!” esclamò Augusto.
“Andiamo a suonargliele, e non intendo col liuto!” aggiunse Giangiovanni.
E, spronati i cavalli, lasciarono lì imberbe il messaggero, che, non avendo altro da fare, si diede all’ippica.
Ed è così che è stata inventata l’ippica.

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