La leggenda dei tre compagni e del figlio della luna/54

la leggenda dei tre compagni e del figlio della luna

Mond osservò il morente precettore, che lo stava guardando implorante, come se l’informazione appena donata avrebbe dovuto necessariamente essere creduta. Alla fine, cedette.

“Ma… com’è possibile?” chiese Mond, abbattuto.

“Non…” il precettore tossì. “Voglio… fammi andare da tua madre. Per favore. Voglio morire… davanti alla mia regina”

Mond lo accompagnò cingendolo con un braccio. Una volta, era lui a farlo. Lo aveva preso in braccio, gli aveva insegnato a camminare, a cacciare, la geografia, la storia e la politica. Gli aveva insegnato tutto quello che c’era da sapere, ma adesso stava a lui viverle.

Salirono molti scalini, tuttavia Mond seguì le indicazioni del suo precettore, che lo condusse nelle ali meno sorvegliate del palazzo.

“Nessuno ti sta cercando” sussurrò poi. “Ti abbiamo cremato tre anni fa”

Ciò che aveva detto Alba era vero, allora, si disse il ragazzo.

“Non capisco allora perché tutta questa sorveglianza” osservò.

“Be’…” il precettore tossì. “c’è una guerra, nel caso non te ne fossi accorto. Ho assunto il potere… perché speravo… di bloccare… tutto. Sono stato malmenato e torturato, e adesso sto per morire”

Mond rifiutava ancora di crederci. La realtà, tuttavia, gli venne spiattellata in faccia una volta raggiunta la cripta.

La tomba di pietra lunare era stata dipinta di bianco. Il nome di Selenia, la Ventottesima del suo nome, era inciso con due date al di sotto.

Mond toccò con i polpastrelli delle dita quelle due date. In mezzo, c’era l’anno in cui era nato lui. Gli bruciarono gli occhi e calde lacrime scesero lungo le guance.

Il precettore cadde a terra, spirando dopo aver detto qualcosa che non era riuscito a captare.

Non aveva più la forza per respirare bene. Le uniche due persone che amava sulla Luna se n’erano andate.

E pianse, pianse come non aveva mai fatto, e urlò, la sua voce unica sua compagna nel buio e nel silenzio dei suoi avi. Poggiò il lato sinistro delle sua testa sulla lapide mentre teneva la testa del precettore sul suo grembo, e piangendo rimase in meditazione, ricordando tutti i momenti che lo avevano condotto nel momento peggiore della sua vita.

Infine, decise di riscuotersi.

Era venuto il momento di conoscere il beneamato fratellino, ma non sarebbe stata una riunione di famiglia, si disse.

La porta in fondo alla sala venne spalancata.

“Mani in alto! Chi siete?” gridò una guardia. Mond cominciò a caricarsi di elettricità, e decise di riempire anche il pavimento di fulmini. I soldati che si avvicinarono morirono sul colpo.

Ne salvò appena uno, che era già molto umido, di sudore e urina.

Non c’era pietà in Mond. Lo guardò come il peggiore dei vermi. Quel soldato non riusciva a scappare, inchiodato com’era a terra.

“Portami dal re. Ora.” Sibilò il ragazzo. La cripta tremò e alcuni calcinacci caddero lentamente.

Il soldato si rialzò e fuggì a gambe levate. Patetico, si disse Mond. Che razza di smidollati stavano deturpando la sua casa?

Era furibondo come non lo era mai stato. Alle sue spalle giacevano i corpi di sua madre e del precettore. Erano stati assassinati da Knuglut… suo fratello.

Salì le scale e il palazzo tremava ancora. Sentiva molte persone urlare e dare allarmi inutili.

Non erano ben consci di stare riposando sotto una grande bara di pietra.

Il palazzo era molto grande e conteneva tante stanze. Dalla cripta, si doveva salire una lunga rampa di scale, che nel frattempo toccava il primo e il secondo piano. Se c’era un posto dove poteva trovare il tiranno, doveva essere la sala del trono.

Aveva diversi ricordi in quella sala, dato che vi passava molto tempo. Una grande aula piena di lampadari di cristallo, mentre ai lati lucidissime statue bianche raccontavano i re e le regine precedenti. Per terra, un tappeto rosso, che ricordava perennemente il regno e il sangue che ne era costato per costruirlo.

Poi c’era il trono, raggiungibile attraverso un’altra rampa di scale, una per ogni re. Nel momento in cui aveva lasciato la Luna, erano ventotto gradini. Ora, dovevano essere ventinove.

I soldati e la gente attorno a lui si toglieva di torno. Meglio per loro, in quel momento non sentiva alcun sentimento positivo.

Alcuni servitori li conosceva, ma non si fermarono per salutarlo, presi com’erano nel mettersi accanto ai muri portanti o sotto la mobilia.

“Maledetto bast…”

Uno dei più coraggiosi tentò di colpirlo con la spada, ma venne fritto con una scarica elettrica. Mond non se ne accorse nemmeno.

Alla fine dell’ennesimo corridoio, vide la porta. Stese un braccio e subito volò via distruggendosi in tantissime schegge.

“Impossibile!” commentò uno degli uomini nascosti e impauriti. “Quella porta era ermeticamente chiusa!”

Mond scosse la testa e varcò la soglia.

Eccolo. Knuglut. Lo aspettava in cima al trono. Aveva uno sguardo disgustato, ma gli somigliava tanto.

Stessi capelli disordinati, stesso naso, stesso modo di guardare la gente, stessa altezza.

Knuglut scese lentamente i ventinove gradini. Così lui si considerava re? Decise di dirglielo.

“Ti consideri re, dunque?”

Knuglut vestiva di un lungo abito nero, il quale ogni volta che si spiegazzava rivelava molti piccoli brillanti, in modo da ricordare il manto stellato. Sul suo capo, la corona lunare, che era semplicemente un anello d’argento pieno di crateri. In ciascun cratere una pietra preziosa di colore diverso.

“Certo” disse lui, freddo. Il suo timbro di voce era lo stesso di Mond. “Sono tuo fratello. Forse te l’avrà detto quel bastardo del tuo precettore.”

Mond gli scagliò contro una sfera d’argento, che esplose sul corpo di Knuglut.

Una volta diradato l’enorme conseguente polverone, il despota ne uscì illeso. Mond se lo aspettava, in fondo. Non sarebbe stato facile.

“Sono figlio del ventottesimo Endymion esattamente quanto te” proseguì Knuglut, come se non fosse successo niente, e avanzando allo stesso tempo con deliberata lentezza, come per testare i fulmini che ancora fuoriuscivano dal corpo furibondo dell’avversario “ma non della ventottesima Selenia. Sono frutto di un tradimento. Un bastardo, se vogliamo. Sono cresciuto nel segreto,  anelando fortemente la vita che hai vissuto tu, figlio legittimo. Vedi, nostro padre amava una donna del popolo. L’amava teneramente, più di quanto avesse amato Selenia. Voleva un figlio da lei. Voleva portarla a palazzo, sbugiardare la regina e porre come Selenia colei che amava al suo posto. Ma non gli riuscì. Non gli riuscì e si strusse. E partì in guerre che decise di inventare, pur di dimenticare l’errore che aveva compiuto sposando quella megera. E morì sotto il filo della lama, e lo piansi. Lo piansi. Tu sai cosa vuol dire pianto?”

Mond lo sapeva eccome, ma decise di non dargli soddisfazione.

“Con lui andarono via tutte le mie residue speranze di diventare un principe come meritavo. Fui comunque cresciuto da mia madre in quanto tale, nei limiti della sua economia. Ma, capirai bene, più crescevo più il mio odio verso di te aumentava. Dovevo ucciderti. Mi allenai severamente, anno dopo anno, nel tentativo di farti fuori, corroso dal desiderio di vendetta. Pensavo di colpirti alla tua prima visita ufficiale, ma non uscivi mai da questo edificio. Immagino che tua madre avrebbe voluto proteggerti fino alla fine, visto che si era sentita tradita, e delusa. Non la giudico per questo” disse lui, sprezzante “ma doveva morire nel modo peggiore possibile, davanti al popolo che non ha mai ascoltato, decapitata da un boia. E l’ho fatto”

Mond strinse i pugni fino a farli sanguinare. Chissà cosa avrebbe risposto sua madre, per difendersi da quelle stupide accuse.

“In realtà, non pensavo di vederti mai. Il tuo precettore mi ha detto che fossi morto per una malattia misteriosa e che poi avessero cremato il corpo. Eppure sei qui. Dove sei stato negli ultimi tre anni?”

Knuglut era arrivato di fronte a lui. Pochi centimetri, ma non erano mai stati così distanti, freddi, alteri.

Due principi.

Knuglut sorrise ammiccando.

“Non mi sconfiggerai mai” sussurrò. “In questo momento in città ci sono dei minimi tafferugli, ma risolverò tutto in un attimo se portassi la tua testa su una picca come ho sempre desiderato di fare, trascinando il resto del tuo cadavere attaccato alla mia biga. Sono contento che tu sia vivo… fratellino”

Mond non era mai stato così infuriato, nemmeno quando aveva visto Peter fare quelle cose a Mary.

Il Mago gli aveva detto tante volte che doveva mantenere la calma, ma gli riusciva difficile.

“Combatteremo fuori” rispose con furore. “La casa di mia madre non dovrà subire nessun danno. Mai più, non da te”

“E sia” disse lui. “Conosco un posto”

Che bastardo, si disse Mond. Era quella casa sua. Doveva conoscerlo lui, il posto. Tuttavia decise di seguirlo, perché aveva la sensazione che il suo rivale avesse costruito un edificio nuovo, estraneo ai suoi ricordi.

Dopo pochi passi si rese subito conto di dove stessero andando. Semplicemente sul tetto. Quanta fantasia.

Mond cercò di calmarsi. Sapeva tutte le magie, si era allenato costantemente. Non doveva deludere il Mago, Gerald, Mary, Thomas, Edward, il precettore.

Non doveva deludere sua madre.

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