I ricordi di Adalgisa/32

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Considerato che la civiltà umana non li aveva ancora, novantanove mila anni, Adalgisa fu ancora più curiosa di suonare tutti i campanelli del mondo, ma, visto che l’età media di una donna si aggirava sugli ottanta anni, occorreva una macchina del tempo. Lo chiese a Mark Time, un altro scienziato. Somigliava tantissimo a Mark Math, che peraltro lavorava nello studio adiacente.
L’unica differenza era che uno era pelato e l’altro invece aveva una folta chioma bionda.
“Serve aiuto?”
“Sì, mi voglio fare ibernare o comunque mi serve un supporto che mi permetta di arrivare a novantanove mila anni”
“Certo, ovvio. E i citofoni come si suonano? Da soli? Non esiste una robaccia come il dono dell’ubiquità”
Adalgisa lo guardò storto “E lei come fa a sapere che mi serve viaggiare nel tempo per sapere se ho suonato tutti i citofoni del mondo?”
“Io leggo nel pensiero.”
Adalgisa però doveva ammettere che Mark aveva ragione: perché mai ibernarsi se poi non poteva fare la cosa che desiderava? O l’una o l’altra, doveva scegliere.
“Tutto ciò le ricordava quando aveva viaggiato nel passato. Aveva affittato una pagaia e aveva remato controcorrente, solo per scoprire poi che il passato che aveva scelto di percorrere era particolarmente denso, quasi un concentrato. Evidentemente non era stata messa sufficiente acqua di cottura.
Mark Time scrisse un nome e un indirizzo, ma Adalgisa col passare del tempo se ne dimenticò. Tornò dunque alla ricerca del pan di zucchero, che l’avrebbe aiutata a cercare quel pezzo di mare mancante.
“Ecco cosa dovevo fare, ma certo” disse. “Di’ un po’” si rivolse a suo fratello “secondo te questa spiaggia ha novantanove mila granelli di sabbia?”
IL fratello di Adalgisa era un uomo che tendeva a leggere se lasciato solo per più di trenta minuti. In quel caso, aveva un giornale aperto. “Non so, forse di più”
Forse di più, aveva detto… fino a quale anno era possibile spostarsi?

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