L’ultima goccia.

E infine eccomi qui, esangue, esanime, fisso a guardare il cielo.
Non riesco più a respirare molto bene. Sono stato malmenato molto a fondo. Ne ho date anche io, intendiamoci, solo che il mio avversario è stato più bravo, bravo abbastanza da uccidermi e lasciarmi qui.
Il dolore della lotta concerne anche la sconfitta, me lo dicevano sempre i miei maestri. A loro devo quello che sono, e il motivo per cui sono arrivato fin qui. Mi dicevano che non c’è dolore né sconfitta nel cuore di chi lotta, e io ho lottato fino in fondo. Solo, sono stato battuto. Forse prematuramente, ma va bene anche così.
Ho vissuto una vita lunga, per così dire, ma anche una vita bella. Mi sono tolto diverse soddisfazioni. Non ho molto da guardare, indietro nel tempo. Morire col sole davanti penso sia un privilegio per pochi. È una giornata stupenda. Conosco… conosco molti amici che sono finiti in una fossa comune, o peggio.
Io no.
Sto morendo qui, su questo prato, in un bellissimo primo pomeriggio di aprile. Non riesco più a respirare e tossisco a fatica, ormai non mi viene bene neanche quello.
Ho la bocca impiastricciata di sudore, e di sangue. Non di lacrime, quelle no, quelle le lascio a chi ha rimpianti. Io non ne ho.
Colui che mi ha battuto meritava questo onore, e anche io gli rendo la vita abbastanza volentieri. Ho le braccia persino splaancate. Sto per abbracciare te, sorella Morte, che stai per venire a prendermi.
Sto per avvinghiarmi a te, dea della Morte, per riportarmi alla casa dei miei padri, che mi riceveranno dritti in piedi ad applaudirmi.
Sto per avvicinarmi circospetto a te, amante Morte, che dal sole che mi inonda lo sguardo scendi col tuo carro per farmi salire vincitore, e con te, da pari a pari, partiremo verso il tuo regno, dove non c’è ferita, né sudore, né sangue, ma solo vittoria e onore.
Ed è così che sto per andarmene. La vista mi si offusca.
Il cuore rallenta.
L’ultimo respiro.
L’ultima goccia di sangue.